La parola chiave è autoimpiego e dovremo imparare a farci i conti. Lalfabeto della ricerca di lavoro cambia anche se il dibattito politico sulloccupazione, seppur vivace, continua a restare concentrato sui temi del lavoro dipendente. Ma tra i ragazzi che escono dalle superiori o dalluniversità molte cose stanno cambiando e i dati di flusso lo dimostrano.
Nei primi nove mesi del 2013 il 34% delle imprese aperte ha un titolare under 35 e la stima dellUnioncamere ci dice che un giovane su 4, terminati gli studi, si rivolge verso lautoimpiego. Sono ragazzi che hanno perso le aspettative di un tempo e hanno maturato una consapevolezza diversa.
Vogliono evitare la via crucis dei contratti a tempo determinato e degli stage senza speranze e preferiscono misurarsi direttamente con il mercato. Anche se non lo chiamano così e sono totalmente aideologici, riconoscono che la meritocrazia si sposa meglio con una propria iniziativa piuttosto che con una scrivania in un ufficio pubblico.
Lo stock di imprese con un titolare sotto i 35 anni ammonta a 675 mila unità e rappresenta l11% delluniverso delle aziende italiane, ma la tendenza al ringiovanimento è fortissima come dimostra il dato sui flussi. «Alcuni si rivolgono allautoimpiego perché hanno respirato aria di impresa in casa spiega Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere , non dimentichiamo che in Italia una famiglia su 4 ha a che fare con lattività imprenditoriale».
Ma non sono solo i figli di commercianti e artigiani a scommettere su se stessi, la successione a un familiare riguarda appena il 4,2% dei titolari under 30 di nuove imprese. La pura necessità di trovare un primo/nuovo sbocco lavorativo o comunque un lavoro stabile è la causa dellautoimpiego per il 36,4% dei giovani sotto i 30 anni.
Ad aggravare la difficoltà di trovare unoccupazione pesa lassorbimento pressoché nullo di diversi settori, dal pubblico impiego passando per editoria, scuola ed enti locali. Le trasformazioni del mercato hanno poi determinato una drastica riduzione del peso contrattuale di molte lauree e la conseguente definitiva scissione tra percorso formativo e tipologia di occupazione.
I laureati nellingegneria rivolta al settore manifatturiero, quelli dellarea medica e di economia continuano a puntare sul lavoro dipendente, invece per chi esce con una laurea umanistica lautoimpiego appare come la prospettiva più concreta.
Se il sociologo americano Richard Sennett ha scolpito il concetto di «corrosione del carattere» per indicare il contraccolpo psicologico della precarizzazione, lautoimpiego almeno da un punto di vista psicologico è mobilitante, suscita energie. Tanto è vero che il 47,1% degli under 30 con attività avviata nel 2013 indica nellautorealizzazione la motivazione principale della sua scelta.
Secondo i dati diffusi dallosservatorio del ministero dellEconomia ogni mese vengono aperte 45 mila nuove partite Iva (la metà sono under 35) e un quarto abbondante di loro corrisponde a uniniziativa commerciale.
Dopo il successo di Grom cè stato un boom di gelaterie, la ristorazione registra continue nuove aperture di locali così come i servizi di fisioterapia e pilates. Restano ancora sottostimate le chance di fare impresa nellestetica, nei servizi di lavanderia e nella cura degli anziani. Il professor Emilio Reyneri nel suo libro «Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi» parla, però, a questo proposito di una «terziarizzazione distorta a favore di settori arretrati».
Comunque il 12% circa delle nuove partite Iva si muove verso attività professionali anche se bisogna tener presente che almeno per architetti e avvocati si tratta di uno sbocco obbligato vista la quasi totale impossibilità di trovare un lavoro dipendente in linea con il titolo conseguito.
«È chiaro che i giovani si rivolgono in prevalenza al commercio e alla ristorazione commenta il sociologo Costanzo Ranci, autore del libro Partite Iva perché sembra più bassa la barriera allingresso al Sud come al Nord. Ma attenzione anche tra i laureati settentrionali e ad alta qualificazione la tendenza allautoimpiego è elevata e non solo per uno stato di necessità».
Sale anche per motivazioni legate allautorealizzazione personale che si sposano con una forte propensione alla mobilità territoriale. «Secondo rilevazioni di fonte Isfol il 50% dei giovani è pronto a trasferirsi allestero e solo il 20% non vuole muoversi da casa».
La dinamica di autorealizzazione è testimoniata da molte storie pubblicate sul blog Nuvola del lavoro ma anche da una analoga iniziativa di Unioncamere che ha raccolto in un sito racconti di neoimprenditori che magari come lAndrea dellultimo libro di Silvia Avallone («Marina Bellezza») scelgono di tornare in montagna per produrre formaggi come il nonno.
«Colpisce in queste storie sottolinea Gagliardi lincrocio di innovazione e tradizione che porta a cambiare mestieri come il sarto, il falegname e più in generale lagricoltore».
Ma di fronte a queste novità, al mix rappresentato dalla mobilitazione individuale, lassunzione del rischio e la riduzione dellingorgo allingresso del lavoro dipendente, come risponde il sistema economico? Come ripaga questi giovani per la loro coraggiosa scelta di autonomia? Gagliardi sostiene che «dobbiamo loro qualcosa, quantomeno fornirli di un supporto ordinario di servizi e assistenza».
Il rischio, infatti, sta nella mortalità precoce delle nuove imprese come sembra trasparire dalla veloce rotazione degli esercizi commerciali nelle città. In verità, forse per un effetto-ritardo, i dati non sono così tremendi. Secondo Unioncamere nei primi nove mesi del 2013 ha chiuso il 7% delle aziende degli under 35 contro una media generale del 5%. Comunque lesigenza di accompagnare lautoimpiego si sta facendo largo.
Da segnalare liniziativa della Confcommercio di Milano che ha predisposto un punto accoglienza per i neoimprenditori che si chiama «I Marcopolo» e ha pubblicato «Le bussole», manuali rivolti a chi sta facendo la sua prima esperienza. Anna Soru, presidente di Acta, lassociazione delle partite Iva del terziario avanzato, ha scritto le-book «Post lauream», diretto ai giovani che finiscono gli studi e si chiedono se valga la pena orientarsi verso il lavoro autonomo.
Il primo problema che emerge dalla sua ricognizione è trovare i soldi per aprire limpresa e secondo i racconti si ricorre spesso al prestito familiare. Più del 50% parte con un capitale inferiore ai 5 mila euro e solo il 3% inizia con una dotazione di risorse maggiori di 50 mila euro.
Si avverte la necessità di strumenti di microcredito perché pochi neoimprenditori utilizzano la banca. La legge di Stabilità ha rifinanziato lagenzia per il sostegno alle start up dopo che nel 2013 il bando era stato chiuso perché ad aprile aveva già prosciugato i fondi, ma la dotazione resta bassa: 80 milioni di euro per tre anni.
«Assieme allinadeguatezza dei meccanismi di finanziamento mancano anche politiche di agevolazione fiscale del nuovo lavoro autonomo dice Soru . Prendiamo lesempio del forfettone per le partite Iva fissato a 30 mila euro lanno: chi si muove bene sul mercato e magari sta per sforare finisce per rinunciare a prendere una nuova commessa e vista la crisi che attraversiamo è veramente paradossale che ciò accada».
Tra le forme di accompagnamento allautoimpiego sta incontrando molto favore il franchising perché garantisce un know how sperimentato, un più facile accesso al credito, la possibilità di accedere alla formazione e più in generale si presenta come un mix vantaggioso di organizzazione centrale e spirito individuale dimpresa.
Altrettanto interesse sembra attirare la formula cooperativa: secondo unindagine Swg sono 700 mila i giovani disposti a dar vita a unesperienza imprenditoriale di questo tipo.
Auto-Impiego/ Se un giovane su 4 decide di assumersi da solo
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