• venerdì , 22 Novembre 2024

Tv digitale, i tre nodi della riforma Gentiloni

Da oltre vent’anni ormai la televisione in Italia è un duopolio quasi perfetto. A incrinare lo schema ci hanno pensato le tecnologie: un suo spazio se l’è conquistato la televisione via satellite, uno se lo sta cominciando a conquistare la tv su internet. La corazzata resta però la tv generalista, che assorbe buona parte delle frequenze e più dei due terzi degli investimenti pubblicitari totali. Il duopolio RaiMediaset, in particolare, assorbe 4,3 (1,3 la SipraRai, e 3,1 PublitaliaMediaset) dei 4,7 miliardi di euro di tutta la pubblicità televisiva.

Da molto tempo la Corte Costituzionale e l’Unione Europea hanno indicato la strada di un maggiore pluralismo nel settore televisivo, che però, per quanto riguarda la tv generalista, in Italia fino ad oggi non si è riusciti a costruire.
Ora è ancora la tecnologia ad aprire una porta: il passaggio dalla trasmissione analogica a quella digitale consente di trasmettere più canali utilizzando un minor numero di frequenze.
A questo punto ci sono però da affrontare tre problemi: il primo è come si fa a convincere i telespettatori a comprarsi in massa i decoder che servono per decrittare il segnale digitale; il secondo è come utilizzare questo passaggio tecnologico per aumentare il numero delle imprese televisive e quindi il pluralismo; il terzo è da dove possono arrivare le risorse per consentire a nuovi operatori di entrare in un mercato dove i due giganti si mangiano già oltre il 90 per cento degli investimenti pubblicitari.
Il modo più sereno per capire se la riforma del sistema televisivo presentata dal ministro Gentiloni sia buona o cattiva, è vedere come affronta questi tre problemi. Il primo lo affronta prevedendo il passaggio di due reti, una Rai e una Mediaset, dalla trasmissione analogica a quella digitale entro 15 mesi dall’approvazione della legge, mentre per tutti gli altri canali il passaggio è previsto per il 2012.
Perché la cosa funzioni le due reti dovrebbero portare con sé un numero elevato di telespettatori, disposti a dotarsi entro un paio d’anni (i tempi di approvazione della legge più i 15 mesi) di decoder. Se saranno una larga maggioranza l’operazione avrà funzionato e probabilmente le altre reti passeranno al digitale anche prima del 2012. A oggi è una scommessa, sul cui esito il testo del disegno di legge non consente di fare previsioni.
Più chiara è la risposta al secondo problema. La legge Gasparri attualmente in vigore, ingessava a priori il sistema televisivo sulla sua struttura attuale, mentre il disegno di legge Gentiloni toglie questo gesso e lascia spazio a nuovi eventuali protagonisti.
Infine il terzo problema, le risorse. Perché nuovi protagonisti decidano di investire in tv generalista, ci vorrà una ragionevole previsione di risorse da raccogliere sul mercato, e queste risorse possono esserci solo se, ipotesi virtuosa, il mercato cresce, oppure, ipotesi meno virtuosa, se viene liberata una quota di quelle oggi assorbite dal duopolio. Il disegno di legge Gentiloni parte dalla seconda ipotesi, sperando probabilmente che poi si creino le condizioni che consentano alla prima di realizzarsi, e fissa un tetto del 45 per cento della raccolta pubblicitaria complessiva oltre il quale l’operatore diventa dominante. Anche questa è una scommessa, e i tetti non sono mai piacevoli. Ma fa riflettere il fatto che le politiche di raccolta pubblicitaria sin qui adottate dal duopolio, e in particolare da Publitalia, hanno fatto sì che il costocontatto in Italia sia il più basso d’Europa a fronte di un affollamento pubblicitario tra i più alti. Una politica che non giova alla qualità, ma soprattutto che sembra fatta apposta per togliere l’acqua a eventuali pesci che volessero nuotare, e crescere, nello stesso stagno.

Fonte: Repubblica Affari & Finanza

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