E un processo lento e faticoso ma il cammino verso il mercato unico europeo non si ferma. Imprese industriali, utilities, banche, compagnie di assicurazione hanno capito che le linee dei confini nazionali sbiadiscono giorno dopo giorno. E reagiscono fondendosi tra loro, acquisendo società concorrenti in altri Paesi, cercando nuovi sbocchi per i loro prodotti.
Parallelamente si fa sempre più pressante la richiesta di “livellare il campo di gioco” cioè di stabilire regole che mettano tutti i contendenti nelle stesse condizioni. Molti passi sono stati fatti in questa direzione, anche se non sempre si è avuto il coraggio di far rispettare fino in fondo le norme adottate. Per esempio, sugli aiuti di Stato e sulle leggi antiscalate ostili i governi nazionali e la Conimissione europea non possono ancora cantar vittoria. Per non parlare delle interferenze dei singoli governi sulle scelte delle imprese.
In molti settori il bisogno di regole comuni si traduce nella necessità di avere un’unica authority europea. Basta pensare alle telecomunicazioni o alla finanza. Poiché il processo è in atto, anche il riordino delle authority italiane deve tenerne conto.
Viviane Reding, commissario europeo alle telecomunicazioni, ha proposto per esempio di creare un’unica autorità europea di settore che funzionerebbe secondo un modello federale, un po’ come la Banca centrale europea. Quindi una “testa” a Bruxelles (o in un’altra città) e tanti bracci operativi nei singoli Paesi. Corrado Calabrò, presidente dell’Authority italiana, ha detto di condividere il progetto che potrebbe smussare le peculiarità dei regolatori nazionali. Oggi infatti esistono regolatori che sostengono i “campioni nazionali” e altri che li penalizzano: dipende dall’impronta, più o meno liberalizzatrice o nazionalista, delle authority.
Già oggi la disciplina antitrust è garantita da un sistema europeo: il commissario Ue, Neelie Kroes, delibera sulle operazioni che superano una certa soglia dimensionale mentre le autorità nazionali sono competenti sulle altre. E vero che non cè uniformità nelle regole nazionali ma la collaborazione alla prova dei fatti si è rivelata abbastanza efficace.
Nel mondo della fmanza sta accadendo la stessa cosa. Secondo la Commissione europea il mercato finanziario è decisivo per la crescita dell’economia. Bruxelles si è così data l’obiettivo di favorirne l’integrazione, armonizzando le regole con una serie di direttive che incidono profondamente sulle realtà dei singoli Paesi. Le authority nazionali hanno già dovuto imparare a fare i conti con questo nuovo modo di operare. La Consob e la Banca d’Italia, nella sua attività di vigilanza sulla stabilità del sistema bancario, hanno ceduto “sovranità” nella definizione delle regole e si sono concentrate sulle modalità di applicazione e sul modo di farle rispettare (enforcement).
Il governo Prodi è partito con grandi ambizioni di riordino del sistema dellauthority (vedere il Sole 24 Ore del 19 agosto). Nei suoi primi mesi di attività ha tuttavia dovuto dare la precedenza ad altri obiettivi. Ma il problema resta. E va affrontato con la consapevolezza che il processo di integrazione europea imporrà alle autorità di vigilanza italiane un ruolo diverso, per molti aspetti più battagliero. A Bruxelles, per esempio, troppo spesso i rappresentanti di Roma non sono stati capaci di imporre la loro visione nelle scelte legislative europee: tutte le direttive finanziarie sono lì a testimoniarlo. Colpa dei politici, indubbiamente, ma anche dei tecnici delle autority che presidiano i vari settori.
In patria, invece, le authority potranno concentrarsi sull’enforcement delle regole fissate a livello comunitario e recepite nella legislazione nazionale. Più funzionari in trincea a verificare il comportamento degli operatori e meno burocrati dietro le scrivanie. Insomma, cani da guardia che azzannano di più e abbaiano di meno. E che magari, all’Autorità per la privacy, riescono a portare alla luce del sole il verminaio della struttura parallela Telecom prima che intervenga la magistratura.
Si parla molto dell’istituzione di nuove Authority: da quella delle reti cara a Romano Prodi a quella dei trasporti avversata da Antonio Di Pietro. Forse, prima che gli organismi di garanzia comincino a proliferare, sarebbe bene pensare a una semplificazione di quelli già esistenti. E le numerose commissioni istituite dalla Legge finanziaria non sono un buon segnale.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 18 ottobre 2006