Il diavolo, travestito da interferenza burocratica e programmazione spartitoria, ha messo lo zampino nei meccanismi operativi che dovrebbero realizzare gli obiettivi di Industria 2015, il documento che condensa la politica di innovazione industriale lanciata dal ministro per lo Sviluppo, Pierluigi Bersani. Questi meccanismi sono contenuti nei commi 449-452 del maxiemendamento alla Finanziaria (ex art. 104) che ora passa allesame del Senato. E rischiano di vanificare le buone intenzioni del ministro.
E infatti importante dare un forte scossa alle imprese e ai centri di ricerca pubblici e privati per far emergere specializzazioni nazionali nellindustria e nei servizi proiettate verso nuove tecnologie. Per esempio, lanciando progetti di ricerca applicata di respiro lungo ed europeo, rispondenti a grandi priorità sociali (energia, ambiente, salute, mobilità, infrastrutture) e capaci di aggregare le molte ma terribilmente disperse risorse di intelligenza e imprenditorialità di cui il Paese dispone.
Leconomia italiana, è bene rammentarlo, è a reddito e costo del lavoro alti e livelli di istruzione elevati; può permettersi sempre meno di cullarsi sulla (pur preziosa) tenuta competitiva del made in Italy. Alcune sue caratteristiche, come il nanismo dellimpresa familiare tradizionale, gli assetti proprietari relativamente chiusi, lo scarso ricambio manageriale, la ricerca di mercati regolati e protetti, si alleano (e ne vengono accentuate) a una cultura politica e sindacale avversa allimpresa. Con effetti che vanno rapidamente contrastati: progressiva scomparsa delle grandi aziende esposte alla concorrenza internazionale, lento declino delle quote di commercio mondiale, ritardo negli investimenti nei mercati del futuro, demotivazione dei giovani alla scelta di titoli di studio in materie tecnico-scientifiche, scarsa capacità di attrarre i flussi di investimenti multinazionali che si ricollocano continuamente nello scacchiere globale. In Germania, Francia, Spagna e altri Paesi europei (per non parlare delle economie dinamiche dellAsia) i governi stanno varando robusti programmi di partnership pubblico-privata per lavanzamento delle nuove tecnologie nel tessuto produttivo. LItalia ha ancor più bisogno di una politica industriale di questo tipo per rilanciare una crescita sostenibile della nostra produttività.
Ma i nobili e condivisibili intenti di questa delicata operazione rischiano di essere vanificati, o peggio, dai dettagli diabolici inseriti nel meccanismo operativo previsto nella Finanziaria. Nei quali riemergono, non senza colpe del documento originario presentato da Bersani (si vedano le critiche di Carlo Trigilia sul Sole 24 Ore del 19 ottobre), le antiche tentazioni della burocrazia di intervenire e dei vari attori pubblici e privati (ministeri, regioni, enti vari e rappresentanze di interessi settoriali) di spartirsi le risorse.
Va bene, infatti, che i responsabili di progetto, scelti dal ministro dello Sviluppo
E dopo la fase iniziale che accade? Esclusa (per motivi confessabili?) la scelta alla francese di una apposita Agenzia pubblica (nel cui board siede peraltro anche Pasquale Pistorio), la quale avrebbe assicurato una certa terzietà rispetto agli interessi settoriali e politici, il comma 452 prevede il
Il decollo dei progetti rischia poi tragici ritardi perché nellattuale versione della legge il ministro adotta i decreti
Lo zampino del diavolo nell’Industria 2015
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