• mercoledì , 27 Novembre 2024

Auto, mercato in tilt per Fiat sarà autunno nero

I dodici mesi più difficili per la Fiat di Sergio Marchionne, dopo quelli del salvataggio quando era a un passo dall’abisso, sono cominciati con questo torrido luglio. Davanti c’è un lungo guado da attraversare, con vendite europee in calo e i concorrenti che aggressivi come piranha mese dopo mese azzannano quote di mercato sottraendole alla casa di Torino. Dodici mesi in trincea dietro le vetrine dei concessionari, nello sforzo di non rimanere dissanguati, con solo un paio di frecce nel proprio arco: la nuova Giulietta, i cui numeri nelle previsioni non sono clamorosi e il gioiellino TwinAir, il motore bicilindrico con le emissioni più basse del mondo e una invidiabile potenza.Di nuovo, di qui a metà 2011, i marchi Fiat avranno solo questo da offrire. Poi arriveranno la nuova Panda, la nuova Y e i sei modelli dalla classe D in su che saranno il frutto della collaborazione con la Chrysler, ma sono tutte novità che cominceranno a dare i loro frutti tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012.
L’effetto di questo lungo periodo senza nuovi modelli importanti è già nei numeri del primo semestre: in Italia la quota del gruppo Fiat è scesa dal 33,5 al 31 per cento con una perdita di 2 punti e mezzo, nell’Unione Europea la quota è scesa dal 9,1 all’8,2. Colpa della fine degli incentivi, che avevano premiato la Fiat più di altri, ma sostengono gli esperti anche dalla carenza di nuovi modelli. Dovuta in parte al blocco degli investimenti che Marchionne ha deciso ai primi segnali della crisi finanziaria, ma secondo alcuni anche ad una precisa scelta dell’amministratore delegato, il quale da buon giocatore qual è avrebbe valutato che è meglio arrivare con nuove proposte quando i mercati tirano. La sua filosofia, utilizzando la metafora di una persona vicina al gruppo, sarebbe la seguente: “Non avendo munizioni per tutte le stagioni, è meglio che mi faccio trovare senza quando c’è poco da sparare”.
Dodici mesi però sono lunghi, e probabilmente il piano prevede che in Europa sia il TwinAir, che debutterà a settembre sulla 500 e poi sulla Panda, sulla Y e su altri modelli, a consentire di passare la nottata e non arrivare all’alba troppo spolpati. Intanto a tenere su i conti dovrebbero pensarci il Brasile (dove le vendite vanno bene e i margini, già alti, si sono fatti ancora più ricchi con il rafforzamento del 20 per cento del real), i veicoli commerciali leggeri, che in Europa hanno registrato un risveglio di mercato e anche Iveco e Cnh i cui mercati di riferimento sembrano essere fuori dalla crisi.
Gli analisti scontano questi effetti già sui risultati del secondo trimestre di quest’anno, che sanno esaminati dal consiglio di amministrazione che si terrà mercoledì 21, a Detroit. La previsione è di un utile operativo intorno a 340 milioni di euro, frutto di utili ben alti in Sud America e perdite in Europa (come è avvenuto nel 2009).
Ma il mercato è solo uno dei gorghi che in questo lungo guado Marchionne deve cercare di evitare. Sulla sua strada ci sono l’avvio degli investimenti previsti dal progetto ‘Fabbrica Italia’, la scissione delle attività non automobilistiche da quelle dell’auto con la nascita di Fiat Industrial, il consolidamento del rapporto con la Chrysler.
Cominciamo da quello al momento più delicato, la realizzazione del piano investimenti di ‘Fabbrica Italia’. Il debutto non è stato felice, la vicenda di Pomigliano e le tensioni sindacali che sono seguite non sono particolarmente incoraggianti. Leggendo le cronache di queste settimane, le posizioni della Fiat e le reazioni dei sindacati, quello che tutti si chiedono è se Sergio Marchionne voglia cambiare l’Italia o piuttosto se non stia cercando una buona scusa per lasciarla. Qualcuno che lo conosce sostiene che la risposta giusta è ‘tutte e due le cose’. Ovvero: o l’Italia almeno un po’ cambia, oppure l’industria, qui, in una certa scala, non la si può fare più. In realtà questo l’ha detto lui stesso, e anche più d’una volta, ricordando ai suoi ascoltatori che il mondo è cambiato e che un paese che vuole mantenere nel ventunesimo secolo una solida base produttiva non può pensare di andare avanti come prima. L’impostazione è chiara e anche condivisibile, il problema semmai è il metodo: è più probabile che l’Italia cambi con una sfida oppure con la costruzione del consenso? La risposta la conosceremo forse in autunno, e al momento non è facile prevedere se l’esito sarà quello migliore per il paese.
La questione tuttavia è ineludibile, per la Fiat, per i sindacati e per l’intera classe dirigente del paese. La Fiat, se vuole avere una posizione importante in Europa, non può averla dalla Polonia o dalla Serbia. L’Italia resta e deve restare un suo importante mercato e base produttiva, ma non può più esserlo con l’organizzazione produttiva attuale, costosa e frammentata. La soluzione allora è chiudere alcune fabbriche, cosa assai difficile, oppure saturarle mettendole in grado di assorbire tutta la nuova crescita. E’ la scelta fatta con Fabbrica Italia, che però ora deve essere implementata e, soprattutto funzionare. Questa è la scommessa di Marchionne. Il sindacato, dal canto suo, Fiom compresa, sa bene che se Marchionne questa scommessa la perde la perdono anch’esso e i suoi associati, ma fa fatica a ridefinire la condizioni minime alle quali è possibile giocare questa partita. Infine il paese nel suo complesso è al bivio tra un futuro ancora manifatturiero oppure caratterizzato da una progressiva marginalizzazione della componente più vitale della sua economia.
Mentre questa complessa vicenda si dipana ci sono da definire i termini della scissione tra Fiat Auto e Fiat Industrial, una operazione da tutti giudicata positiva perché consente da una parte al settore ‘non auto’, ovvero essenzialmente Cnh e Iveco, di esprimere multipli che sul mercato sono decisamente superiori a quelli dell’auto (si ritiene che la sola Fiat Industries possa valere quasi quanto oggi capitalizza l’intero gruppo) e, dall’altra, al settore auto di presentarsi pronto per accordi e matrimoni con altri operatori, a cominciare dalla Chrysler. Presa la decisione però ora si tratta definire i particolari, che vanno dalla riorganizzazione del management alla ripartizione del debito. Quest’ultimo aspetto in particolare è guardato con attenzione dai mercati, i quali ritengono che su un titolo Fiat Auto che già di per se non brillerebbe un carico di debito non avrebbe un particolare effetto depressivo, ma che nello stesso tempo sono anche consapevoli del fatto che Fiat Industries sarebbe in grado di sostenere meglio un carico di debito più elevato. La ripartizione che sembra in questa fase più probabile è che un 40 per cento del debito industriale netto del gruppo vada a carico dell’auto e il 60 per cento a Fiat Industries, una ripartizione che lascerebbe più spazio agli investimenti previsti per la prima.
Infine c’è la Chrysler, che sta assorbendo buona parte delle risorse manageriali del gruppo nello sforzo di arrivare a fine anno con risultati tali da consentire la quotazione del titolo. E’ un obiettivo raggiungibile, che è importante per Chrysler ma anche per Fiat, che ne ha il 20 per cento a un prezzo di carico pari a zero, e che potrebbe ritrovarsi con una plusvalenza che potrebbe raggiungere e forse superare i 2 miliardi di dollari. La tappa successiva, magari non immediata, potrebbe essere la fusione di Fiat Auto con Chrysler, alla quale però si arriverà soltanto se la quotazione di Fiat Auto risulterà adeguata e la controllante Exor potrà vedere non troppo diluito il suo 30 per cento attuale.
Tante partite incrociate, tutte fondamentali per lo sviluppo del gruppo, in una matassa che ha dodici mesi per dipanarsi e un uomo solo a tirare tutte le fila. Sergio Marchionne non sembra spaventato da un’agenda così fitta e tuttavia un problema c’è: lui è numero uno di Fiat e di Chrysler, oltre ad essere di Fiat anche chief financial officer e, in pectore, anche presidente di Fiat Industrial. I manager di prima linea intanto sono impegnati sia a Torino che a Detroit e c’è qualcuno che ritiene che le incertezze nella gestione delle relazioni industriali negli ultimi mesi sia dovuta anche al fatto che il gruppo ha bisogno di rafforzare la sua struttura direttiva: forse il primo problema di Marchionne è proprio rafforzare la squadra di manager, trovare quelli giusti, e tenerseli.

Fonte: Affari e Finanza del 19 luglio 2010

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.