Perché Marchionne non ha nessuna intenzione di creare un nuovo patto sociale in Italia.
Marchionne apre la strada ad un nuovo patto sociale, o addirittura ne ha già scritto i punti salienti con le sue mosse a Pomigliano e Melfi? Vedo che si tratta di unipotesi molto gettonata, ma francamente io qualche dubbio ce lho, e lo voglio esternare senza per questo iscrivermi (o farmi iscrivere dufficio) al partito conservatore della Fiom o a quello di chi vorrebbe salvare litalianità della Fiat con soldi pubblici. Partiamo dai meriti di Marchionne. Non mi sfugge, sia chiaro, la valenza anche simbolica di un grande manager che, invece di tirare a campare adeguandosi alle italiche abitudini, rompe tabù e infrange miti. Specie nel mercato del lavoro delle (purtroppo ormai poche) grandi imprese, molto più somigliante a quello della pubblica amministrazione che del privato diffuso, essere capaci di mettere in discussione e superare le vecchie logiche pansindacalistiche imposte dalla componente non riformista ma, ahinoi, ormai maggioritaria della Cgil, è cosa buona e giusta. Nella fattispecie, poi, laver denunciato comportamenti lesivi sia dei legittimi interessi dellazienda sia dei lavoratori che non intendevano scioperare, mi sembra cosa corretta semmai non lo è stato un certo comportamento passivo tenuto per molto (troppo) tempo e debbo dire che la sentenza con cui i giudici hanno imposto il reinserimento dei tre lavoratori di Melfi mi sembra sbagliata, sia nel merito che nelle conseguenze (ancorché sia dellidea che le sentenze, giuste o sbagliate che ci sembrino, vadano rispettate).
Non è dunque il merito dellazione di Marchionne, quando pone il tema dellassenteismo a Pomigliano o della liceità di taluni comportamenti a Melfi, che lascia margini di discussione. E neppure il fatto che il capo della Fiat ponga il problema, sacrosantemente fondato, della produttività delle fabbriche italiane in relazione ai costi che le stesse produzioni avrebbero altrove. No, la questione sta sia nelle motivazioni reali che hanno spinto Marchionne a fare queste scelte, sia nelle conseguenze che da esse se ne dovrebbero trarre. Sul primo punto ho già scritto qui tutte le mie perplessità: sommando informazioni e impressioni, ho netta la sensazione che il manager col maglioncino abbia montato tutto questo non già per imporre un nuovo stile vogliamo dire alla DAmato quando attaccò sullarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori bensì per creare le condizioni per chiudere, totalmente e definitivamente, la presenza Fiat in Italia, anche in coincidenza con la fusione tra la casa di Torino e la Chrysler, che ridurrà la presenza nel capitale degli eredi Agnelli e finirà per far diventare americano il nuovo gruppo. Ho provato ad esternare questa preoccupazione al ministro Sacconi, nellambito di Cortina InConTra, e lui mi ha giustamente risposto, in nome di quellantropologia positiva che è diventata il suo karma, che non vuole e non può neppure prendere in considerazione lipotesi che Marchionne faccia il furbo. Nella sua posizione, è più che giusto: la Fiat ha creato la newco Fabbrica Italiana e ha preparato progetti di lungo termine per gli stabilimenti italiani, se il governo facesse lo scettico sarebbe un errore. Senza contare che si finirebbe per dare spago a chi contesta Marchionne per motivi ideologici. Ma chi fa il commentatore ha il dovere di esaminare tutte le ipotesi, e francamente quella che ho adombrato non mi sembra affetta da dietrologia spicciola.
Ma veniamo alla seconda questione, quella del nuovo patto sociale. Qui ci sono due diverse letture. Una, ripresa ieri anche da lex ministro Damiano, pensa ad un patto finalizzato a mantenere in Italia le produzioni automobilistiche per ragioni occupazionali. Anche a costo, come ha suggerito Mucchetti sul Corriere, di far entrare in Fiat-Chrysler qualche azionista di sistema. A parte losservazione che da quella sponda sono sempre venute tirate dorecchio a chi parlava di italianità, ma qui dobbiamo intenderci: non ci sono le condizioni, né varrebbe la pena, di immaginare un salvataggio allitaliana della Fiat. Si dice: ma Obama ha fatto proprio questo. Vero. Ma per il capitalismo italiano, a questo punto della sua parabola, lo spazio per interventi difensivi del genere non cè più. E ammesso e non concesso che ci siano risorse, meglio spenderle per nuove iniziative in settori meno dipendenti dal costo del lavoro. La seconda interpretazione del patto sociale è invece più attinente alle relazioni industriali tra le parti. Ora che ci voglia un nuovo accordo non cè dubbio, e che debba essere un patto per la competitività basato su maggiore flessibilità contrattuale (più aziendale e meno nazionale), altrettanto. Ma siamo proprio sicuri che sia dalla vicenda Fiat che debba prendere le mosse?
Manager incompresi
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