• venerdì , 22 Novembre 2024

L’ultimo assalto?

Perché, nella vicenda Parmalat, ce la si prende con Lactalis, mentre è la migliore delle soluzioni? Naturalmente di quelle che sono oggi sul tavolo, non di quelle che ci sarebbero potute essere se il signor Tanzi avesse ambito a essere leukos anziché kallistos e finire bancarottiere, se il signor Bondi avesse convinto gli azionisti a supportarlo in piani di sviluppo, se uno dei tanti signori Brambilla avesse deciso di farlo al suo posto, comperandosi l’azienda. Come sappiamo, non è questo il film che stiamo vedendo. In altri mercati, o per buona pratica o per necessità, chi vuole prendere il controllo di una società lancia un’opa, col che tutti gli azionisti possono lucrare il premio di maggioranza: ma non siamo molto credibili se vogliamo sceneggiare quel film nel nostro mercato.
Che cosa vorrebbero, oggi, quelli che si strappan le vesti o si asciugano gli occhi? Che una banca si metta alla guida di una “cordata” a maggioranza italiana stile Telco? Che si induca un imprenditore come Ferrero, che ha avuto grande successo facendo per tutta la vita sempre e solo il suo mestiere, a un tardivo innamoramento per il modello conglomerato? Che si blocchi tutto, investendo in buoni del Tesoro il tesoretto che, per statuto e per legge (Milleproroghe) non è disponibile per la distribuzione ai soci? Ieri il governo ha emanato un decreto che consente di rinviare fino a giugno le assemblee anche se tale possibilità non è prevista dallo statuto, e anche se queste sono già state convocate. Il dossier Parmalat è stato sul tavolo di società finanziarie e fondi di private equity da un paio d’anni, e nessuno ha trovato interessante acquistare quando valeva 1,70?: davvero dobbiamo auspicare che nei prossimi tre mesi succeda qualcosa? Tutta “moral” una “suasion” che faccia diventare conveniente comprare a più di 2,80 ciò che non pareva esserlo a 1,70?
Questo per quanto riguarda il “lucro cessante”: ma non è diverso per i timori di “danno emergente”. Nel consiglio di Parmalat dovranno essere presenti consiglieri indipendenti, che avranno voce in capitolo sulle trattative con parti correlate: perfino le sinergie con le altre partecipazioni italiane di Lactalis, Galbani, Invernizzi, Cademartori, saranno sotto la lente. Certo, ci sono i produttori di latte, e hanno i loro protettori politici: ma non si vede perché dovrebbero vedersi proporre condizioni, per quantità e prezzo, più sfavorevoli delle attuali. Insomma, da qualunque parte la si prenda, non si capisce la ragione di una simile levata di scudi. Sempre che di ragione economica si parli. Non solo nessun pasto, ma neppure nessuna polemica è gratis: in questo caso il costo è di rendere più improbabile ciò che si vorrebbe accadesse. Se è vero (un’affermazione di cui sarebbe interessante verificare l’esattezza) che i nostri imprenditori sono più sovente preda che predatori, è perché trovano più conveniente giocare nell’orto di casa propria, o perché ritengono troppo rischioso giocare in quello altrui? In un caso e nell’altro la reazione governativa e le polemiche giornalistiche sono controproducenti. Lo è la moral suasion che aumenta le convenienze a privilegiare scelte domestiche; lo sono le ostilità suscitate e gli ostacoli frapposti che aumentano il timore, del tutto giustificato, che siano cordialmente contraccambiati.
Servirebbero, come sostegno e come esempio, le banche: ma quelle sono tutte impegnate, Alitalia, Telecom, RCS, Serravalle, Zunino, Granarolo, Fonsai… Come dire, l’orto di casa nostra

Fonte: Il Foglio del 24 marzo 2011

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