• sabato , 23 Novembre 2024

Caro ministro ha vinto l’Opa, ritiri il decreto

E adesso, come si giustificheranno quelli che si sono tanto accaniti contro Lactalis? Che quella dei Besnier, degli oscuri Besnier, fosse, dal punto di vista industriale, la migliore soluzione sul tappeto, era chiaro: il gruppo è presente in Italia da anni, con aziende che fatturano oltre un terzo più di Parmalat in Italia, occupano il 50% di addetti in più, comperano latte italiano in misura superiore (60% contro il 50%). Il problema di Parmalat è di avere un margine troppo basso, perché la percentuale di latte ad alto valore aggiunto sul totale è poco più del 10%, mentre Lactalis l’ha portata al 40% in Francia e addirittura all’80% in Spagna.
Sottoposti a una pressione politica e mediatica che avevano forse sottovalutato, i francesi hanno ora lanciato l’Opa totalitaria (per il 71% che si somma al 29% che già detengono) che avrebbero fatto bene a fare fin dall’inizio. Non che questo avrebbe zittito gli oppositori, non è che volessero significare che da noi questi giochetti non si fanno, che imprese grandi controllate da decenni con percentuali minuscole di equity propria da noi quasi non esistono, e le poche eccezioni sono guardate dall’alto in basso e mai entrerebbero nel Gotha della nostra imprenditoria.
Il perché di tanta opposizione non lo si vedeva neanche ieri. Oggi non si vede come potrebbe essere bloccata (in modo legale) se non lanciando una contro-Opa a prezzo più elevato rispetto ai 2,60 euro offerti da Lactalis. Sarebbe un regalo eccessivo: Lactalis potrebbe vendere il suo 29% e impiegare la plusvalenza per lanciare una iniziativa green field nel latte in un Paese in cui questa vicenda ha offerto la prova provata che nessuno ha voglia e capacità di farlo.
Un altro modo per bloccare l’Opa sarebbe puntare al non raggiungimento della soglia del 51%: le banche potrebbero non portare all’Opa le azioni dentro i fondi che esse controllano o dare opportune istruzioni ai loro consulenti finanziari dietro gli sportelli. Ma rischiano di restare col cerino in mano e di dover gestire un’azienda per la quale, mungendo l’Italia in lungo e in largo, l’imprenditore non si è trovato. E a volte la paura è buona consigliera. Per il Paese l’operazione presenta potenzialità positive. Anche il profano vede interessanti possibilità industriali e finanziarie per un gruppo che possiede Parmalat Galbani Invernizzi Cademartori. Il gruppo Besnier dimostra la disponibilità a impegnarsi in un’operazione di dimensione rilevante; è apprezzabile la sua maniacale concentrazione a fare il proprio mestiere, e solo quello…
Se la vicenda presenta buoni auspici per lattivori e lattai, a uscirne con le ossa rotte è la nostra credibilità di muoverci nelle regole del mercato, che sono la forma moderna di politica industriale. Le regole con cui si cambia il controllo sono quelle dell’Opa: ma noi, invece che spingere Lactalis a prendere la strada maestra, a “non fare l’italiano” e perdersi nei trucchetti del 29% e degli swap, abbiamo sentito qualche volonteroso suggeritore chiedere modifiche ad hoc della legge sull’Opa e, per non volersi negare proprio nulla, neppure ferme ma discrezionali.
Fin lì non siamo andati, ma i decreti ad aziendam li abbiamo fatti, ben tre (sui limiti ai dividendi distribuibili, sullo spostamento delle assemblee, sui settori strategici in cui il Tesoro può intervenire): e per dargli i mezzi per farlo abbiamo modificato lo statuto della Cassa depositi e prestiti (Cdp). Abbiamo discusso di fusioni e concentrazioni, come se a rimbrottare sui limiti antitrust violati fosse solo qualche fastidioso barbagianni, cieco ai luminosi destini lattari del Paese. Abbiamo scoperto gli altarini delle banche e decifrato i possibili effetti taumaturgici sulla loro struttura patrimoniale di certe fusioni future e compreso quelli eventuali di alcune fusioni passate. Abbiamo discettato di strategie e di giochi d’azzardo, ci siamo fatti una cultura traducendo norme straniere, abbiamo messo insieme un voluminoso cahier de doléances strategico, dove accanto al latte stanno le assicurazioni, le centrali elettriche, la distribuzione del gas, il sindacato di Mediobanca, il treno di Montezemolo e i benefit di Bernheim.
In una parola: ci siamo sputtanati, in casa e fuori. Ma alle brutte figure si può rimediare, non fosse altro che perché prima o poi qualcun altro farà di peggio. Quello che resta è la norma che autorizza la Cdp a intervenire in determinati casi (ma si sa che in realtà la spaziatura è optional e che si può leggere “indeterminati”), e la modifica dello statuto che le dà il modo di farlo. Questo è un cannone posto alle nostre frontiere. Oggi, presidente Bassanini in testa, tutti hanno tenuto a mettere paletti sui limiti e sulle caratteristiche dell’intervento. Ma le norme devono essere giudicate per i mali che rendono possibili, indipendentemente dal fatto che ora e in questa occasione gli attuali responsabili li abbiano evitati.
Il ministro Tremonti è uomo di spirito, butti il cappello frigio della réciprocité per la bombetta del fair play. Se vorrà sostenere che tutto questo dispiegar di giuristi e diplomatici era una strategia shock and awe per indurre i signori Besnier e metter mano al portafoglio, lo crederemo: ma ritiri quel decreto.

Fonte: Sole 24 Ore del 27 aprile 2011

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