L’industria italiana del lusso ha davanti a sé una fase di strepitose opportunità da cogliere sui mercati emergenti: a patto di saperli conquistare. Chi ha le forze necessarie a provarci da solo che si affretti». Idee chiare, come sempre, da parte di Diego Della Valle, patron della Tod’s, imprenditore globale, testimonia] convinto della necessità di svecchiare metodi e nomenclatura della classe dirigente italiana. Nel mondo dell’imprenditoria ma non solo.
«Per tutti gli altri imprenditori medio-piccoli, che non riescono a internazionalizzarsi da soli, vale un discorso antico, di buon senso, ma sempre valido, e soprattutto è l’unico che ha funzionato finora: piuttosto che rinunciare ai mercati esteri dove meglio si può intercettare la crescita« dice Della Valle «bisogna tentare di farlo associandosi con altri colleghi imprenditori e dividendo i costi dell’espansione: solo così i nostri imprenditori medio-piccoli del settore, che sono migliaia e migliaia, in molti casi bravissimi, potranno cogliere al meglio il vento del boom dei consumi di lusso all’estero. Nei mercati emergenti, ma anche in Europa e Nord America, dove è più facile arrivare ma c’è più LUSSO/1 «L’Italia ha strepitose opportunità sui mercati emergenti» dice il patron della Tod’s. Che avverte: «Le piccole e medie imprese devono però fare sistema per poter affrontare i costi dell’espansione». «Ci sono tante cose che il Paese avrebbe dovuto fare 20 o 30 anni fa» aggiunge. «Adesso non è più possibile rinviare». di Sergio Luciano concorrenza. Se non facciamo così, non rimediamo al non fatto del passato».
Della valle. lei ce l’ha con qualcuno in particolare?
Con tutti quelli che non fanno. Ci sono tante, forse troppe cose, che il Paese avrebbe dovuto fare venti o trent’anni fa, e non ha fatto, perdendo forse irrimediabilmente alcuni treni che non passeranno più. Adesso basta con i ritardi, basta con lo sprecare occasioni. Il made in Italy, nel settore dei beni di lusso, ha davanti a sé una fase di grandi opportunità, che pub cogliere meglio di tutti i concorrenti del mondo perché o vive con i propri marchi nelle migliori vetrine dei mercati trainanti o comunque produce in parte o del tutto i beni venduti con etichette straniere. Ma dobbiamo darci da fare.
In che nodo, concretamente? Il sistema deve aiutare le imprese più piccole, addirittura anche quelle di dimensioni quasi artigianali, con 80, 100 dipendenti, a competere sui mercati globali. Non hanno le dimensioni per fare da sole? Che si associno: magari creino consorzi, società miste, che il fisco le aiuti detassando investimenti finalizati alla crescita, che sostenga gli investimenti funzionali alla distribuzione… e allora ecco che anche le imprese di nicchia potranno permettersi di sbarcare all’estero.
Magari anche con l’aiuto dell’IC.? Quello che la presidente dl Confindustria Emme Marcegagita vuole rifondere?
Ah, beh, certamente così com’è oggi, e com’è stato quasi sempre in passato, l’Ice non serve o almeno non basta. Va completamente ritarato, strutture come quella sono fuori tempo, costano molto – non a caso il governo aveva addirittura pensato di abolirlo – e non hanno più la capacità di fornire in tempo reale alle imprese le risposte di cui hanno bisogno. Ma appunto, una riforma radicale dell’Ice rientra tra le cose che il sistema Paese avrebbe dovuto fare vent’anni fa. Oggi si sarebbe rivelata un investimento prezioso, ampiamente ammortizzato.
Ha fatto scalpore la protesta della famiglia Bulgari contro un sistema Istituzionale, ma anche Imprenditoriale, che l’ha lasciata sola nello sforzo dl competere sul mercato globale. Condivide?
Bulgari era amareggiato per le critiche che lo hanno raggiunto, è stato colpevolizzato per avere venduto, e questo non ha senso. La scelta di chi vende non è da criminalizzare, gli imprenditori che per ragioni loro, privatissime e insindacabili, decidono di vendere l’azienda, quando trovano un acquirente affidabile e solvibile, che non solo gliela paga bene ma gli garantisce anche continuità e stabilità, be’… perché dovrebbero rinunciarvi? I Bulgari, in specie, hanno fatto un’operazione da manuale, sono stati pagati bene e sono entrati nel consiglio del gruppo acquirente, uno dei due con funzioni di alta responsabilità. È stata un’operazione ottimale per tutti. Certo, spiace che non sia più italiana una griffe così celebre, prestigiosa e legata all’immagine del nostro Paese: ma è stata una mossa assolutamente lecita.
Non sarà che anche lei medita qualche scherzo?
Ma starà scherzando lei! Noi quel che abbiamo cerchiamo di tenercelo stretto, altro che venderlo. Anzi, cerchiamo di comprare, di mantenere sempre l’azienda nelle condizioni ottimali per crescere. Peraltro, a gruppi grandi e visibili come il nostro possono guardare i grandi fondi internazionali o i grandi gruppi del lusso globale, diciamo che può capitare l’offerta tentatrice. Qui è il mercato che comanda, possiamo solo augurarci che gli imprenditori abbiano voglia, come noi, di restare autonomi e italiani. Ma il tessuto connettivo del made in Italy d’alta qualità che vive nel sottobosco delle piccole e medie imprese non ha neanche la visibilità che desidererebbe avere per mettersi in evidenza agli occhi dei potenziali acquirenti.
Però ha una visibilità dl riflesso, quella che arriva dalla forza del made in Italy. E dovrebbe saperla sfruttare al meglio!
Sì, però attenzione: per chi non dispone di un grande marchio, il solo made in Italy a volte non basta, anche perché risente purtroppo in modo non sempre positivo dell’immagine turistica del nostro Paese, che non è al livello dove dovrebbe e potrebbe trovarsi. L’immagine del turismo è importantissima, quando i turisti vengono da noi e tornano a casa nei loro Paesi, portano con sé un’idea forte di come siamo, di quel che sappiamo fare, di quel che invece non siamo bravi a fare. Avere un sistema Paese che funzioni, trasporti efficienti, accoglienza confortevole, è eccezionalmente importante per la manutenzione dell’immagine globale del made in Italy. E non possiamo dire di stare vivendo una fase positiva in questo campo.
Per questo ha sponsorizzato N restauro del Colosseo?
C’è da curare l’estetica del Paese, come se fosse la confezione dei nostri prodotti. Imprenditori come noi, che operano nel settore del lusso, del design, sono e devono essere attaccatissimi a tutto ciò che nel mondo vuol dire Italia, a tutto il patrimonio culturale che evoca il bello, il nostro saper fare… Sono convinto che il caso del Colosseo sia solo stato il primo di una serie, penso di avere aperto una strada, altri imprenditori faranno altrettanto, forse di meglio, senza chiedere niente al Paese, allo Stato. Sono fiducioso che alla fine l’impegno dei singoli venga fuori. E produca valore per tutti.
Un’ultina cosa: dove andrà il suo gruppo a intercettare il nuovo boom del consumi dl lusso?
Sto partendo per l’Asia, ci resterò dieci giorni, i mercati più importanti sono ovviamente i Bric, Brasile, Russia, India e Cina. Ma anche gli altri, di più recente sviluppo. Però attenzione: si può crescere ancora anche in Europa, anche in Italia. Basta saperlo fare…
Armatevi e partite
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