• sabato , 23 Novembre 2024

Conti, piano europeo per l’Enel:”Ridurro’ i debiti a 37 miliardi”

Primo PianoConti, il piano per ridurre i debiti “Fuori dai mercati troppo piccoli ma non perdere solare e nucleare”DOBBIAMO PREPARARCI PER UN CAMBIAMENTO, DICE IL NUMERO UNO DELL’ENEL: “LE FAMIGLIE E LE IMPRESE SONO DIVENTATE PIÙ EFFICIENTI E SI PRODURRANNO DA SOLE PARTE DELL’ENERGIA”. LA PRESENZA IN DIVERSI SETTORI GARANTISCE FLESSIBILITÀ: “OPERIAMO IN 40 PAESI”
Aveva promesso di ridurre il debito dai 44 miliardi di giugno scorso a 37 miliardi entro la fine del 2014. Manterrà la promessa, e in anticipo sui tempi previsti, per essere pronto quando partirà una nuova fase di consolidamento europeo. Per farlo non cederà il nucleare, anzi, dove possibile ci investirà ancora, né ridurrà la quota del 70 per cento in Enel Green Power perché non vuole rinunciare alla ricchezza prodotta da quella partecipazione. Fulvio Conti guida l’Enel da maggio del 2005, il suo terzo mandato (quasi nove anni complessivi) scadrà con la prossima assemblea di bilancio, ma si muove come se le scadenze non ci fossero. «Questo è un business dai tempi lunghi – dice – quello che decidiamo ora diventerà realtà tra cinque anni o più. Quindi che senso ha pensare alle scadenze?»
L ‘Enel è tante cose, tra le altre è un termometro, che attraverso l’energia che consumiamo misura lo stato di salute del paese. Cosa segna il termometro? «Ancora febbre. I consumi energetici a fine settembre segnavano -3,7 per cento, un dato da rivedere alla luce dei giorni lavorativi». Quindi, dal vostro osservatorio, la ripresa non si vede. «I consumi di energia non la evidenziano ancora, ma altri segnali ci sono, dalla produzione industriale alle previsioni degli ordini. Quindi nella stabilità politica e se non ci saranno traumi di altra natura, nel quarto trimestre la ripresa ci sarà». Perché l’energia non lo segnala? «Perché la crisi ci ha abituato a risparmiare, ciascuno di noi e le aziende dove sempre più alta è l’attenzione all’efficienza energetica. Poi c’è l’aumento dell’autoproduzione ». Enel è presente massicciamente in Italia e in Spagna, quindi lei ha una visione chiara della situazione nei due paesi. Dallo spread e da altri indicatori sembrerebbe che la Spagna stia uscendo dalla crisi prima e meglio di noi. Come lo spiega? «La Spagna, dopo le elezioni di due anni fa, ha un governo saldo che ha potuto impostare una serie di azioni. La prima, difensiva, è stata ottenere un aiuto europeo per stabilizzare il sistema creditizio, ha creato una bad bank ed ha neutralizzato gli effetti finanziari della bolla immobiliare. La seconda è stata rinegoziare con Bruxelles i tempi di rientro dal deficit. Madrid parte da un debito assai più basso del nostro ma ha un problema di deficit, che invece è assai più alto. Ha ottenuto tempi meno traumatici per il rientro il che ha lasciato al governo un certo spazio di manovra. Questo ha consentito di cominciare a lavorare sulla competitività del sistema a partire da una riforma del mercato del lavoro molto incisiva che ha rilanciato il settore manifatturiero e le esportazioni. Tutto ciò, insieme ad una stagione turistica molto ricca, ha fatto da volano per l’economia. La conclusione è che la Spagna è ripartita ma ha ancora un serio problema di conti pubblici e di disoccupazione ». E l’Italia? «Noi abbiamo la possibilità di cominciare a crescere adesso. Abbiamo un deficit al 3 per cento e l’avanzo primario più alto d’Europa, non abbiamo chiesto aiuto a nessuno e siamo usciti dalla procedura per deficit eccessivo a testa alta. Questo ci dà la possibilità di impostare una nuova politica economica e di presentare a Bruxelles un piano di sviluppo del quale il governo sia il motore ». Con quali priorità? «La riduzione del costo del lavoro, aumentando il salario netto e riducendo gli oneri per le imprese. Una operazione da almeno 6-7 miliardi da trovare attraverso tagli alle spese improduttive. Seconda priorità è una revisione del Titolo V della Costituzione, riportando al centro le decisioni strategiche per il paese oggi troppo frammentate». Tra le cose che rendono poco competitiva l’Italia c’è però anche il costo dell’energia. «Lo sappiamo bene, ma il costo dell’energia per le imprese e le famiglie è fatto di tre componenti: la produzione, il trasporto e la distribuzione, gli oneri, ovvero i sussidi e le imposte. Se analizziamo queste tre componenti rileviamo che la produzione di energia in Italia ha un costo superiore, seppure non di molto, a quello dei paesi concorrenti, per il fatto che abbiamo privilegiato l’utilizzo del gas, che è più costoso e che abbiamo saggiamente garantito con forniture a lunga scadenza. Su trasporto e distribuzione siamo i migliori d’Europa, il benchmark, e con i loro minori costi assorbiamo parte del maggior costo industriale. Dove il dente duole è alla voce oneri, con sussidi e imposte più alti in valore assoluto e anche per la loro ripartizione tra gli utilizzatori». La liberalizzazione non ha funzionato? «Se tutti producono energia con il gas che arriva dagli stessi fornitori e utilizzano le stesse macchine, l’effetto della concorrenza si vede poco ». Passiamo ai sussidi. Il grosso è per le energie rinnovabili, che in effetti hanno avuto un grande sviluppo avvantaggiando tra gli altri anche l’Enel. «Italia, Spagna e Germania hanno spinto, giustamente, le energie rinnovabili, ma hanno offerto premi e incentivi assai generosi. Troppo. In Italia il costo è di 12 miliardi l’anno, in Germania di 20 e in Spagna di 9. Vediamo l’effetto: gli incentivi eccessivi hanno prodotto distorsioni e non ci hanno consentito di sviluppare una filiera produttiva nazionale, quei soldi sono andati ai produttori di pannelli cinesi e tedeschi e ai fondi internazionali che si sono comprati gli impianti. L’altra faccia della medaglia è che i cittadini italiani pagano e le imprese energetiche soffrono». Lei ha parlato della ripartizione di quei sussidi nelle bollette. Cosa c’è che non va? «In Italia il costo è ripartito su tutti i consumatori. Al contrario, in Germania tale costo è sostenuto dalle famiglie e, in maniera decrescente con la dimensione, dall’industria. Quello che succede quindi è che le grandi imprese in Italia pagano l’elettricità più o meno quanto quelle tedesche, le famiglie sensibilmente meno e le piccole e medie imprese pagano decisamente di più, il che le danneggia in termini di competitività». Ma lei è contro le rinnovabili? «Tutt’altro, sono contro gli incentivi sbagliati. Nel 2008 ho creato Enel Green Power, per poi quotarla nel 2010, proprio con l’obiettivo di concentrare e sostenere il business delle rinnovabili del gruppo. Oggi Egp è un campione mondiale nel settore con una capacità di oltre 8 gigawatt, che per oltre il 70 per cento vive senza bisogno di incentivi perché lavora con tecnologie che sono economicamente autosufficienti come la geotermia e l’idroelettrico, e perché nel fotovoltaico e nell’eolico abbiamo scelto di investire dove c’è molto sole o molto vento. Enel Green Power è l’unica grande azienda che può scegliere la tecnologia e la geografia ottimale, e assicura un ritorno a due cifre». Tornando al gas, un problema che lei ha posto è che le fonti sono le stesse per tutti, quindi una vera concorrenza non c’è. Come si pone rimedio? «Diversificando le fonti, come stiamo facendo con il gasdotto Tap, al quale partecipiamo come acquirenti di materia prima, che porta il gas del Caspio, e con il rigasificatore di Porto Empedocle che stiamo cominciando a cantierare e che ci consentirà di rigasificare il gas della Nigeria e delle partite spot». Veniamo ora al problema di questi anni, l’impatto sull’Enel della recessione e delle rinnovabili, che vi costringe a chiudere impianti. «L’impatto principale della recessione è che i governi tendono a metterci le mani nelle tasche. Succede ovunque ma l’Italia è un campione: la Robin Hood Tax ha colpito solo il nostro settore sottraendoci centinaia di milioni di profitti, quindi dividendi per gli azionisti e investimenti anche per l’Italia». E l’impatto industriale? «Per noi è assai meno rilevante di quello fiscale. Le centrali che Enel non utilizza sono in gran parte ammortizzate. Tra l’altro sarebbero una opportunità per il paese perché potrebbero essere riconvertite, per esempio, per utilizzare i rifiuti per produrre energia. Ma l’Italia è il paese dei no e delle paure spesso irrazionali ». Il punto dolente dell’Enel è l’indebitamento che a fine dello scorso giugno era superiore a 44 miliardi di euro. Qual è il suo piano? «Non sono preoccupato per il debito in quanto abbiamo flussi di cassa sufficienti a servirlo. Tra l’altro il rapporto debito ebitda è costante da molti anni e inferiore a tre». Tuttavia ha annunciato che intende ridurlo e portarlo a 37 miliardi entro il 2014. «Quello che mi ha spinto ad accelerarne la riduzione sono due fattori. Il primo è che il mercato ci vede molto esposti a Italia e Spagna, i cui rating sono stati colpiti con conseguenze anche per noi; il secondo è più legato al business: se riduco il debito ora mi creo uno spazio di manovra per quando arriverà la ripresa. Le ricordo che abbiamo già fatto molto, il debito consolidato netto era arrivato a 56 miliardi a fine 2007, con l’acquisizione di Endesa, e a fine 2013 si attesterà a 42 miliardi, mentre a 37 miliardi arriveremo a fine 2014. Tale livello sarà confermato a fine 2017, dopo che avremo completato il piano di riacquisto delle quote di minoranza nelle società che già controlliamo, soprattutto in America Latina, con l’obiettivo di incrementare la quota di utili che spetta alla capogruppo». Li ridurrete vendendo il nucleare slovacco e riducendo il vostro 70 per cento in Enel Green Power? «No, non usciremo dal nucleare e anzi, se ce ne sarà l’opportunità investiremo ». Lei ci crede ancora? «Non per l’Italia, dove la partita è chiusa, ma dove già operiamo certamente sì». E Enel Green Power? «Siamo contenti di aver portato l’azienda sul mercato ma ancora di più di avere il 70 per cento che ci terremo stretti. E’ il settore del futuro e noi vogliamo esserci in forze e non intendiamo rinunciare ai ritorni che ci porta». Ma per ridurre il debito dovrete pur vendere qualcosa. «Abbiamo già cominciato a farlo e continueremo, uscendo dai mercati dove siamo troppo piccoli o da attività che non possono crescere. Non ha senso essere dappertutto, è più importante scegliere e focalizzarsi ». Ci sarà un consolidamento del settore in Europa? «I movimenti potrebbero accentuarsi quando ci sarà chiarezza sugli orientamenti del regolatore. L’Europa è un laboratorio complesso, con decisioni centrali e politiche nazionali in settori come le rinnovabili e il nucleare, dissipare la nebbia non è semplice». Ma nel medio termine cosa vede? «Un mondo dell’energia dicotomico. Con le tecnologie che stiamo sviluppando le famiglie e le imprese saranno consumatori sempre più efficienti e in parte autoproduttori, mentre dall’altra parte ci saranno realtà economiche e sociali che avranno sempre più bisogno di energia che solo grandi produttori con economie di scala potranno soddisfare con tecnologie efficienti ». Enel che ruolo avrà nel consolidamento che verrà? «Siamo pronti, non le parlavo prima di crearci uno spazio di manovra? » Il suo terzo mandato alla guida dell’Enel scadrà la prossima primavera. Lei è stato al vertice per nove anni e non ha fatto mistero di ritenere opportuno un quarto mandato. Perché? «Per completare un ciclo. Abbiamo trasformato l’Enel da monopo-lista nazionale a grande multinazionale presente in 40 paesi, è un processo lungo, che ho cominciato e che deve essere portato a compimento, nell’interesse dell’azienda e del paese». Non si è mai pentito dell’acquisto di Endesa? «Mai. Se non l’avessimo fatto oggi Enel sarebbe una sorta di municipalizzata, solo un po’ più grande. Invece ha più che raddoppiato il fatturato, la potenza netta, la produzione, i clienti, e l’Italia ha una multinazionale che esporta tecnologie ed eccellenze in tutto il mondo». Fulvio Conti, dal 2005 amministratore delegato dell’Enel: scade l’anno prossimo ma correrà per il quarto mandato Nel grafico qui sopra, la ripartizione geografica del giro d’affari dell’Enel, che opera complessivamente in quaranta Paesi

Fonte: Affari e Finanza del 7 ottobre 2013

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