La redditività del business oltre l’8 per cento nel triennio. Marco Fossati teme la svendita delle attività brasiliane per compiacere l’azionista spagnolo Telefonica. “Il suo valore non può essere inferiore a 25 miliardi di euro”.
Una macchina da soldi, con un futuro roseo in uno dei mercati più promettenti al mondo, quello brasiliano. Niente affatto: un’azienda che ha incominciato a rallentare, in un contesto di fortissima competizione e dove sopravvive solo chi ha capitali da investire per stare al passo.
Sono queste le due posizioni che si scontrano su Tim Brasil, la controllata di Telecom Italia su cui si sta combattendo la battaglia campale tra Telefonica, che in quel mercato è sua concorrente oltre a essere l’azionista più forte nella catena di comando che controlla l’azienda telefonica italiana, e Marco Fossati, altro azionista di peso (con il 5 per cento). Quest’ultimo teme la svendita delle attività brasiliane per compiacere l’azionista spagnolo, il management smentisce, ma i rumors intorno ad una offerta già allo studio da parte di compratori brasiliani, di cui aveva parlato per primo L’Espresso (vedi numero del 15 novembre 2013), non si placano.
Fossati sostiene che il valore di Tim Brasil non può essere inferiore a 25 miliardi di euro. Che sono la somma del valore dell’azienda in sé, cioè 17 miliardi, più i vantaggi che farla fuori comportebbe per i concorrenti, in termini di risparmi e di minore pressione ad abbassare le tariffe.
Un elemento oggettivo per dipanare la matassa è il Piano industriale 2014-2016 in cui il management di Tim Brasil proietta il film del suo futuro, che verrà presentato il 16 nel quartier generale della società madre, durante la riunione del primo cda del nuovo anno, sotto la guida del ceo Marco Patuano. Eccone in anticipo i dati essenziali.
Il giro d’affari 2013 di Tim Brasil è stimato 20.044 milioni di reais, in euro 6 miliardi e 200 milioni. Nel 2014 il ritmo di crescita del fatturato, che negli ultimi anni è stato sopra il 6 per cento, quasi si dimezza (più 3,5 per cento) con un fatturato previsto di 20 miliardi 751 milioni di reais (6,4 miliardi di euro) per poi scattare di nuovo nel 2015 e nel 2016 con un più 6,2 e un più 8,5 fin quasi a tagliare il traguardo dei 24 miliardi di reais (7,4 miliardi di euro). L’Ebitda medio annuo nel periodo, cioè la redditività del business, resta dunque oltre l’8 per cento, da 1,5 miliardi del 2013 agli oltre due miliardi del 2016.
Considerando solo l’attività di telefonia mobile di Tim, che comunque è quella preponderante ( il gruppo sta sviluppando anche la fibra, con investimenti significativi), un elemento di cui tenere conto è la necessità di adeguare in continuazione la rete: se la spesa complessiva (Capex) si attesta sul 20 per cento del fatturato, più della metà è destinata appunto alla rete, al suo sviluppo e alla sua manutenzione.
Il Piano industriale registra anche un cambio nel profilo degli utenti: meno telefonate prepagate, più bollette a consuntivo. Il che può aumentare la vulnerabilità dell’azienda. Ma resta sempre un’attività con un orizzonte suggestivo, visto che la differenza tra ebitda e capex, vale a dire tra margine di guadagno e investimento di nuovo capitale in beni durevoli, non solo è abbondantemente positivo, ma resta in crescita: va da 1,4 miliardi di reais del 2013 a 2,5 miliardi del 2016 (da 430 a 770 milioni di euro). Se poi a questo si aggiunge un indebitamento bassissimo, si può capire come la telefonia in Brasile sia un boccone appetitoso per chiunque.
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