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Euro forte sola virtù dell’Europa debole

E’ ancora presto per una lettura storica della crisi globale, eppure una sentenza e’ gia’ prematuramente nell’aria: l’Unione europea avrebbe perso l’ultima chance di essere protagonista della governance globale. E’ fuori dal gioco. Cresce al contrario la tentazione di un G2 tra Usa e Cina. Nei negoziati globali, tutti sono colpiti infatti sia dalla volonta’ di cooperazione cinese, che si sta esprimendo con voce chiara nei comitati economici strategici bilaterali, sia dalla capacita’ di rapida decisione che consente a Pechino, per esempio, di essere leader nelle politiche ambientali e nei negoziati sull’energia.
Ma si tratta di una pericolosa semplificazione. Non a caso, dietro le quinte, a Washington I negoziatori del presidente Obama lavorano a una governance globale basata su uno schema che include l’Unione europea: un “G4” a cui partecipino Usa, Ue, Cina e Giappone. Si tratta di un assetto piu’ agile rispetto al G20 che era parso finora il nuovo protagonista politico uscito vincente della crisi. Non solo a Washington, infatti, il G20 e’ considerato poco funzionale, troppo esteso e disomogeneo. Una prima proposta americana sul G4 e’ stata fatta ai cinesi a inizio ottobre, proprio nelle ore in cui a Istanbul si svolgeva la riunione del Fondo monetario, ed e’ stata accolta con cautela da Pechino, ma l’elaborazione sta proseguendo in queste settimane in vista anche della visita di Obama a Pechino a meta’ novembre.
Ma uno dei nodi cruciali del G4 e’ proprio la capacita’ europea di partecipare attivamente. Bruxelles infatti ha processi decisionali lenti, in alcuni casi fondati sull’unanimita’ dei 27 paesi, e’ inoltre costantemente assorbita dal processo di autoriforma istituzionale e in questa fase non dispone di vertici legittimati. Il completamento in extremis della ratifica del Trattato di Lisbona, con la firma del presidente ceco Vaclav Klaus, apre pero’ una prospettiva nuova. La mancanza di una voce europea e’ stata infatti finora paradossale visto che il suo modello economico puo’ vantare una maggiore stabilita’ degli altri, come dimostra il fatto che nessuna delle sette gravi crisi finanziarie avvenute negli ultimi 21 anni e’nata dall’Europa,pur avendola poi colpita con altrettanta forza.
Tuttavia proprio il suo modello economico, in cui gioca un ruolo forndamentale il concetto di stabilita’,fa apparire l’Europa introversa. Apparentemente I governi delle economie emergenti del G20 hanno offerto stimoli discrezionali per contrastare la crisi molto superiori a quelli del G7.Russia, Corea, Arabia Saudita, Cina, Sud Africa e Australia hanno fatto I maggiori sforzi, solo dopo arrivano il Giappone e gli Stati Uniti. Lo spostamento delle decisioni politiche dal G7 al G20 e’ sembrato una logica conseguenza. Gli europei potrebbero osservare tuttavia che tenendo conto del funzionamento degli stabilizzatori automatici (sussidi di disoccupazione e altri) il loro contributo alla crescita e’ stato nella media del G20. Ma questi connotati di intrinseca stabilita’ non compaiono nelle statistiche di Washington.
D’altronde non solo il contributo macro alla domanda globale ha visto l’Europa in seconda fila. Anche il suo ruolo nell’aggiustamento degli squilibri globali.Ed e’ logico che sia cosi’ visto che la bilancia esterna dell’Europa e’ in sostanziale equilibrio. Sono Cina e Stati Uniti, entrambi fortemente divergenti, a dover trovare tra di loro un percorso di riequilibrio. Nell’agenda macropolitica della crisi quindi l’Europa e’ parsa irrilevante in ragione di alcune virtu’ e non solo per I noti difetti di leadership politica.
L’onda cinese sembra troppo forte pero’ per aspettare gli indugi europei.Se i rapporti commerciali tra Usa e Ue rappresentano ancora la quota piu’ rilevante del commercio mondiale, per entrambi il primo partner ora e’ diventata l’Asia orientale. Comprensibilmente l’attenzione reciproca tra Ue e America si e’ ridotta e Washington in particolare sembra ossessionata dalla ricerca di nuove forme di cooperazione con Pechino. Una ricerca che secondo I consiglieri di Obama sarebbe piu’ avanzata di quanto non si percepisca.
Ma proprio la forza cinese sta sconsigliando un rapporto esclusivo. Per ora Washington e’ in grado di far valere il fatto che la propria economia e’ grande quattro volte quella cinese. Ma nel giro di solo 10 anni I rapporti di forza saranno molto diversi. Anche il grado di apertura delle economie potrebbe essere diverso, con un rolo globale dei cinesi maggiore rispetto a quello degli Usa, in particolare se il peso della finanza nell’economia dovesse molto ridimensionarsi dopo la crisi. Attorno al blocco regionale asiatico e alla Chiang Mai Initiative si concentrerebbe infatti gran parte della produzione mondiale.Gia’ ora inoltre ogni volta che un rappresentante americano si siede al tavolo con il governo cinese, sa di avere di fronte il suo piu’ grande creditore, il titolare di gran parte delle riserve di dollari, nonche’ un partner commerciale in surplus costante.
Nell’insieme del rapporto tra Usa e Cina il gioco cruciale lo gioca proprio il dollaro. A Washington si moltiplicano gli studi per cercare un atterraggio soffice per gli squilibri americani. Si teme che I cinesi riaggiustino una volta per tutte la composizione delle proprie riserve puntando sull’unica alternativa ancora disponibile, l’euro, mettendo in ginocchio il dollaro. Si cerca cosi’ di individuare la possibilita’ di accordi “fuori mercato”, cioe’ attraverso conti valutari presso il Fondo monetario, o addirittura si studia la possibilita’ di nuove target zones valutarie. In un tale imbarazzo strategico, gli americani sanno che gli equilibri valutari sono ancora saldamente in mano a due soli protagonisti:l’America e l’Eurozona.E che hanno bisogno di un’Europa collaborativa per evitare che il mercato valutario diventi instabile.
Il ruolo dell’euro e’ dunque centrale per il significato politico dell’intera Ue e probabilmente di questo dovra’ essere tenuto conto nel decidere sulle nomine ai vertici della Ue. Proprio il rafforzamento dell’euro per la prima volta ha fatto si’ che le dimensioni economiche degli Stati Uniti siano state raggiunte da quelle dell’eurozona. In un’ottica di diplomazia da guerra fredda, centrata su politiche confrontative tra Stati nazione, questi sviluppi passano del tutto inosservati. Ma se si osserva il il coordinamento globale come una forma di condivisione della sovranita’, allora l’immagine europea e’ opposta a quella che siamo abituati ad attribuirle.Il risultato paradossale della crisi e’ infatti l’emersione della zona euro come maggior attore dell’economia globale di cui si e’ dimostrato anche essere l’unico perno di stabilita’.

Fonte: Sole 24 Ore del 7 novembre 2009

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