• sabato , 23 Novembre 2024

Una corte dell’Aja per l’economia

È ancora difficile quantificare l’effetto Grecia sull’economia mondiale. Si passa da scenari catastrofici ad altri più tranquillizzanti. A seconda che si prefiguri un default (incapacità di ripagare il debito) o una perfetta riuscita dell’intervento congiunto Ue-Fmi.
Di sicuro la paura che circonda i titoli di Atene avrà delle conseguenze che si faranno sentire nei prossimi anni. L’euro sarà più debole, il costo del debito più elevato soprattutto per i paesi con le finanze pubbliche meno solide (l’elenco, che include l’Italia, sarebbe lunghissimo), le politiche fiscali più restrittive, la crescita meno sostenuta, la disoccupazione più alta. Forse sarà solo una questione di decimali, come tutti si augurano,forse no.
Ma che cosa c’è all’origine di questa piccola o grande apocalisse? Mentre tutti ragionano sulle responsabilità delle agenzie di rating, sull’incertezza del governo tedesco alla vigilia di una tornata elettorale, sul cronico “indecisionismo” europeo, sull’opportunità di far intervenire l’Fmi, si dimentica che il panico è stato innescato da una truffa. Già perché il governo greco ha manipolato per anni i conti pubblici dichiarando cifre false per deficit e debito. Fino alla farsa del dato 2009, con il presidente e il ministro dell’Economia che annunciavano un deficit del 3,7% rettificato prima al 12,7% poi al 13,6% (sarà questo il valore assestato?). In questo modo i politici greci hanno tratto in inganno i mercati che, nel momento in cui la frode è stata smascherata, si sono subito vendicati, vendendo i titoli di Atene e facendo così schizzare i tassi.
E’vero che si parla di uno stato sovrano. Della sua libertà di adottare una politica fiscale, di scelte che riguardano imposte, pensioni, sanità, stipendi dei pubblici dipendenti e quindi tutti i cittadini greci. Di un’autonomia riconosciuta agli stati anche dal Trattato di Maastricht (che peraltro fissa dei limiti al deficit e indica dei criteri per il debito). Ma la frode resta. Del tutto simile a un falso in bilancio di un’impresa.
Manipolando i conti, quei governanti hanno danneggiato non solo i cittadini del loro paese, ma anche quelli spagnoli, italiani, tedeschi. E non solo per i prestiti che gli altri stati europei hanno promesso alla Grecia: anche se tutto andrà per il verso giusto e non sarà necessaria una ristrutturazione del debito pubblico, ci saranno imprese che chiudono, lavoratori che perdono il posto, insomma meno reddito e meno ricchezza per molti, se non per tutti. E non solo in Grecia.
Si dirà: chi ha truffato pagherà il conto. E invece no. Nessuna legge prevede infatti una sanzione per chi sottrae un deficit pari a quasi il 10% del Pil ai documenti ufficiali, innescando così un effetto domino sulla stabilità finanziaria di numerosi altri paesi (sarebbe come se in Italia sparissero dal deficit 150 miliardi). Se Jeffrey Skilling, ceo di Enron, si becca 24 anni e Bernie Madoff ben 175, forse sarebbe giusto che anche chi ha provocato danni ben più consistenti all’economia internazionale fosse sanzionato. Il presidente greco Karolos Papulias ha detto lunedì, saggiamente, che «i responsabili della crisi devono essere puniti».
Probabilmente è ardito pensare a un tribunale internazionale dell’Aja per l’economia, in grado di pronunciare sentenze sulle truffe “macroeconomiche”. Ma non è neanche ammissibile che chi conduce un paese alla bancarotta rischi solo la vergogna di qualche titolo di giornale per poi finire in gloria nelle preziose tabelle dell’economista Kenneth Rogoff sulla storia dei default del debito pubblico. In fondo mettere a repentaglio il benessere di un continente è pur sempre un crimine (economico) contro l’umanità.
Un’altra lezione da trarre riguarda il ruolo delle tecnostrutture. Se i conti pubblici greci fossero stati verificati da un’istituzione dotata di poteri adeguati e insensibile alle immancabili critiche dei politici che l’accusano di “lesa sovranità fiscale”, probabilmente la Grecia non si sarebbe spinta fino a questo punto.

Fonte: Sole 24 Ore 6 maggio 2010

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