La Commisisone prova a dar vita alla “E” dell’Unione Economica e Monetaria. Più controlli e più sanzioni per evitare le crisi future. basterà? Nel 2005 La Germania ha detto “no” al rafforzamento dei poteri di Eurostat e, di fatto, ha spuntato un’arma con cui si sarebbe potuta evitare la crisi greca. Più o meno nello stesso anno, trovatasi in deficit eccessivo, Berlino ha favorito il cambiamento del Patto di Stabilità. Europeisti, davvero.
Ora, la lezione della crisi è che bisogna vare il 20005 nel 2010, che poi sarà il 2011, almeno. Stamane l’identikit della nuova Maastricht. Funzionerà?
L’imperturbabile Olli Rehn lo ha battezzato «il semestre economico europeo», ovvero il tempo in cui gli stati dell’Ue coordineranno in chiave continentale le loro singole strategie di bilancio nazionali. «Nel mercato globale, “nazionale” è diventato un termine piuttosto relativo», argomenta il commissario finlandese, che oggi presenta la strategia in tre pilastri con cui vuole porre le basi per un governo dell’economia che prenda saldamente le redini della moneta unica. «Il patto di stabilità è solido – ripete da tempo il responsabile economico della Commissione -. Noi dobbiamo farlo rispettare, rafforzando tanto il suo braccio preventivo che quello correttivo».
Il giorno è arrivato, è il momento in cui «bisogna soffiare vita alla “E” dell’Uem», ovvero dell’Unione economica e monetaria. La tempesta seguita al collasso dei conti pubblici di Atene ha convinto tutti che bisogna trarre le lezioni del disastro e Bruxelles ha ora la grande occasione per cambiare l’Europa e sfidare ancora una volta i tedeschi che, nel 2005, erano contrari persino al rafforzamento dei poteri di Eurostat, cosa che adesso dovrebbe invece avvenire.
Ieri sera la comunicazione di Rehn era ancora aperta, ma la sostanza non dovrebbe cambiare. La prima parte affronta il rafforzamento delle regole del Patto di stabilità che tiene in piedi l’euro e lo rafforza, a cominciare dal controllo delle leggi finanziarie e delle riforme strutturale messe a punto dalle capitali. Non dovranno essere più politiche ognuno per conto suo, bensì decisioni compatibili col bene comune, presentate a Bruxelles prima che ai parlamenti nazionali.
Il finlandese intende stringere controlli e sanzioni. «Dobbiamo focalizzarci di più sulla dinamica del debito», assicura un suo collaboratore. Detto, fatto. Il rispetto del 60% quale soglia massima del rapporto fra debito e pil diventerà gradualmente vincolante (guai in vista per l’Italia e il Belgio); la tendenza dl passivo storico verrà tenuta presente per valutare la fine delle procedure di deficit eccessivo; gli irregolari dei conti pubblici saranno puniti. In caso di atteggiamenti inadeguati nella gestione delle politiche di bilancio, Rehn propone sanzioni automatiche, fra cui la costituzione di «depositi fruttiferi» a mo’ di multa o l’esclusione pro tempore dai fondi per lo sviluppo.
Il secondo pilastro della strategia delinea gli incentivi per la competitività, con l’indicazione di una serie di obbietti «d’impresa» in linea con quelli del Piano di crescita Ue per il 2020. La sorveglianza del loro perseguimento sarà affidata alla «pressione fra pari» e alla premiazione dei migliori con l’accesso privilegiato ai prestiti Ue. Terzo e ultimo punto, il meccanismo di risoluzione delle crisi: si tratta di formalizzare il modello varato nella notte di domenica. Se non è il Fondo monetario europeo, poco ci manca.
Arriva la nuova Maastricht
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