I separatisti fiamminghi vincono le elezioni, ma non è detto che vadano al governo. La partita a scacchi del Re. E il premier potrebbe essere l'”italiano” di Rupo…
«Dank u Bart! Dank u Bart! Dank u Bart!». Un coro da stadio accoglie poco dopo le diciannove nella sala Claridge di Chaussée de Louvain il vincitore delle elezioni belghe, Bart de Wever, il leader della N-Va, la Nuova alleanza fiamminga, il partito che vuole spaccare il Belgio. «Grazie Bart!», gridano tutti a squarciagola e lui risponde in latino, con le braccia alzate e le mani giunte: «Nil volentibus arduum». E’ una frase a doppio effetto perché l’acronimo compone la sigla trionfale della giorno, Nva, compagine che ha raddoppiato i voti in due anni. «Per chi vuole nulla è difficile – scandisce de Wever -. Noi ci abbiamo creduto e oggi siamo primi nelle Fiandre e nel paese».
Un punteggio senza precedenti, un terremoto politico per un Belgio le cui due anime appaiono sempre più lontane. Nella regione a Nord, nella Fiandre dinamiche e liberiste, crollano le forze tradizionali e si affermano gli indipendentisti, votati da un fiammingo su tre. A sud, nella Vallonia francofona in crisi di identità e sviluppo, è netto il ritorno dei socialisti guidati da Elio di Rupo, anch’essi oltre il 30% dei consensi. In funzione dei numeri (i cittadini di lingua neerlandese sono 6.6 milioni su quasi 11), taglia il traguardo per prima la N-Va, eppure i giochi per la premiership non sono per nulla scontati. Anzi.
«I fiamminghi vogliono il cambiamento, non li deluderemo, è necessario osare per andare avanti», declama de Wever, con una retorica gonfia di successo. Nel breve discorso del Claridge è la sola allusione al problema della secessione, mitigato dall’offerta di «tendere a mano ai francofoni». In realtà è chiaro che chi ha votato N-Va perlomeno accarezza l’idea delle Fiandre indipendenti, non vuole più sovvenzionare i valloni, sogna di potersi governare da sé. «Il Belgio sta evaporando», aveva detto Bart il trionfatore domenica scorsa. Non l’ha ripetuto. E’ stato cauto, non sarebbe stata una scelta opportuna.
L’affermazione di De Wever non basta per dire che sarà un esponente del Nv-A ad ottenere oggi da Alberto II l’incarico di «informatore» su quale coalizione possa governare il paese. L’Alleanza è in effetti il principale partito del paese (31 seggi secondo le proiezioni), ma in uno stato dove tutto è doppio potrebbe pagare il fatto di non avere un omologo francofono. Questo fa della famiglia socialista, che ha un gemello fiammingo e uno vallone (14 più 24), sia con 38 deputati il gruppo più folto della Camera bassa. «Bisognerà governare con de Wever», dice il capolista dei socialisti francofoni al Senato Paul Magnette.Potrebbe però esser tattica.
Il sovrano non chiamerà un cristiano democratico, è stato uno sfacelo ovunque. Fuori gioco i liberali delle Fiandre che hanno pagato duramente l’aver fatto cadere il governo solo per limitare i diritti dei francofoni nei comuni della regione bruxellese in territorio fiammingo. Dimessi anche i riformisti in caduta libera. Il re deve scegliere fra il partito e la famiglia, fra i divorzisti del N-Va e i socialisti anti «società degli egoismi».
Qui la trama si complica. Gli analisti dicono che anche una scelta degli autonomisti potrebbe essere una mossa per bruciare de Wever, del resto il re è per l’unità del Belgio, anzi è l’unità del Belgio. Allora si potrebbe arrivare, in prima o in seconda battuta, a un socialista, probabilmente fiammingo. Questo aprirebbe la strada all’«italiano» di Rupo per la poltrona di primo ministro con cristiani democratici e forse i verdi, passo che allontanerebbe l’ipotesi di divorzio fra Vallonia e Fiandre, non la necessità di riformare il paese. Sarà dura, eppure una cosa è chiara, adesso: il Belgio si salva se cambia, sennò è finita.
Il Belgio e il rischio della fine
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