Limiti «Nonostante l’ importanza del G20, ci sono limiti a quello che può essere proposto e ottenuto in un consesso così ampio»
«Noblesse oblige»: i Paesi dell’ Occidente industrializzato hanno ripetuto in un «resort» tra i laghi dell’ Ontario il rito del G8, un vertice che si è concluso senza risultati concreti. Nessun accordo sulle politiche per il sostegno dell’ economia, né sulle riforme finanziarie – materia peraltro ormai demandata al G20 iniziato ieri sera – né sulla tassa sulle banche. Per cercare di offrire un titolo ai 2500 giornalisti arrivati a Toronto, la presidenza canadese ha acceso i riflettori su un fondo di 5 miliardi di dollari per la difesa della maternità nei Paesi più poveri. L’ obiettivo è quello di ridurre il numero delle donne che muoiono di parto e dei bambini (oggi sono nove milioni l’ anno) uccisi dalle malattie e dagli stenti prima di aver raggiunto l’ eta di cinque anni. Ma, per riuscire a far decollare l’ iniziativa, il Canada si è dovuto tassare in misura sproporzionata (contribuirà per oltre un quinto della spesa, pur essendo il Paese più piccolo del G8 sia come popolazione che come Pil), visto che gli altri partner hanno stretto i cordoni della borsa a causa dei loro problemi di bilancio. Le organizzazioni non governative sono furibonde: definiscono quello di ieri il «G8 della vergogna», accusano i Paesi membri di «riciclare» soldi già stanziati in passato, rinfacciano ai ricchi della Terra le loro inadempienze rispetto agli impegni di solidarietà internazionale presi negli anni scorsi. Nobiltà decaduta, insomma. Ma, anche se invecchiati e con un blasone appannato, questi Paesi non si rassegnano a dissolversi nel consesso dei «nuovi ricchi» del G20. «Abbiamo deciso di mantenere in piedi anche questa formula perché i nostri otto Paesi hanno un patrimonio di interessi e valori comuni che non sempre si ritrovano nel consesso più ampio del G20», ha spiegato alla fine del vertice il premier canadese Stephen Harper ai molti giornalisti che gli chiedevano se, vista l’ evidente crisi della formula, quello appena finito andava considerato l’ ultimo G8 tenuto nel continente americano. Harper, che da padrone di casa parlava a nome di tutti, ha ammesso che nella cena di venerdì il tema è stato sollevato: «Abbiamo discusso molto dell’ architettura istituzionale di questi vertici, ma alla fine ci siamo convinti che, nonostante l’ importanza assunta dal G20, ci sono limiti a quello che può essere proposto e ottenuto in un concesso così ampio». Poco dopo, mentre Silvio Berlusconi formulava considerazioni analoghe, Nicolas Sarkozy ha annunciato che il summit dell’ anno prossimo si terrà a Nizza: la «capitale» della Costa Azzurra, simbolo dell’ Europa ricca e spensierata di qualche decennio fa. Ma, mentre il presidente francese faceva il suo annuncio, Barack Obama era già in elicottero col neopremier britannico David Cameron, l’ unico leader europeo trattato con una certa attenzione dalla Casa Bianca, per rientrare a Toronto dove si è subito immerso in una serie di incontri bilaterali con i leader asiatici. Incontri il cui senso, per il ministro del Tesoro Usa, Tim Geithner, è raccolto in due parole: «Politiche per la crescita». Politiche di cui non c’ è traccia nel documento dei leader del G8, che si sono limitati a ribadire l’ impegno a dimezzare i rispettivi deficit pubblici entro il 2013 e a stabilizzare il debito nel 2016 anziché nel 2015. Tutto qui. Certo, il consesso dei principali Paesi dell’ Occidente rimane un momento importante per discutere molti temi di politica estera, per scambiarsi punti di vista in modo riservato, per conoscersi meglio. Ma, nonostante la maggior omogeneità culturale e dei sistemi economici e la sostanziale condivisione delle principali libertà politiche ed economiche, nel G-8 si sono manifestate almeno due anime tanto sulle politiche per la ripresa (Usa pro stimoli, Europa più preoccupata dei conti pubblici) quanto sulle regole per i mercati finanziari (con l’ America contraria alle tasse sulle banche e a limiti troppo severi alle contrattazioni come quelli proposti dalla Germania). Per Obama, oggi, sembra più facile trovare un accordo per lo sviluppo giocando nel campo allargato del G20. Sempre che riesca a intendersi, in primo luogo, col presidente cinese Hu Jintao. Pechino ieri ha ribadito il suo impegno a rivalutare gradualmente il renminbi sul dollaro. La Casa Bianca ha applaudito, ma il Congresso resta scettico mentre sul New York Times il Nobel Paul Krugman, economista e faro della sinistra «liberal», liquida la promessa cinese come una presa in giro. Non molto diversa l’ analisi del conservatore Wall Street Journal: dall’ annuncio di una settimana fa, la valuta cinese si è rivalutata solo dello 0,5% e comunque anche quando, in passato, si è registrato un deprezzamento più sensibile (-21% sul dollaro a meta del decennio scorso) il deficit Usa con la Cina, dopo una leggera flessione, si è di nuovo impennato. Per mettersi alle spalle la crisi non basta tornare a crescere: bisogna anche intervenire sulle cause dello squilibrio commerciale Usa-Asia. E per questo il cambio non basta. Massimo Gaggi RIPRODUZIONE RISERVATA **** 0,5% la rivalutazione dello yuan dall’ annuncio di Pechino, una settimana fa, di voler procedere alla riforma del tasso di cambio della propria moneta per aumentarne la flessibilità
Quei “nobili decaduti” che non si rassegnano all’ascesa dei nuovi ricchi
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