Chi è Julian Assange, il matematico anarchico dietro Wikileaks.Gli esperti si dividono: è l’ alba di un «nuovo giornalismo» o siamo davanti a una forma di «info-vandalismo»?
Un ragazzo australiano che impara fin dall’infanzia a vivere come un nomade e a far perdere le sue tracce, tra un padre direttore teatrale in continuo movimento e una madre che, dopo due divorzi, cerca l’ invisibilità per non farsi togliere i figli. Poi, ormai uomo geniale e inquieto, Julian Assange diventa «hacker», matematico, fisico e anche crittografo: per spirito anarchico, per un moto di ribellione contro tutte le organizzazioni gerarchiche. Julian dice di aver imparato da Kafka, Koestler e Solgenitsin che la verità, la creatività, l’ amore e la compassione vengono inesorabilmente corrotti da qualunque istituzione. Così le combatte tutte e, per testimoniare davanti al mondo la sua assoluta fiducia nell’ individuo, crea una struttura «amatoriale» ma sofisticatissima, capace di raccogliere ovunque informazioni e documenti segreti garantendo l’ anonimato delle fonti e in grado di diffonderli ovunque senza possibilità di censura, grazie all’ uso di siti-specchio e di almeno una ventina di «server» sparsi negli angoli più remoti del globo. Il tutto senza una vera sede, una struttura aziendale, fonti di finanziamento stabili: solo donazioni e lavoro volontario. Dal suo inizio, quattro anni fa, il fenomeno WikiLeaks.org fa discutere, ma il salto di qualità di ieri – la pubblicazione di circa 92 mila documenti segreti del Pentagono relativi alla guerra in Afghanistan, la più grande fuga di notizie della storia militare americana – obbliga a porsi due domande: è quello del misterioso sito che dà voce ai «whistleblowers» (i dissidenti interni di imprese, organi governativi, strutture militari), il nuovo e più estremo impatto di Internet sul mondo dell’ informazione? Stiamo vedendo l’ alba del nuovo «giornalismo scientifico» annunciato proprio da Assange? O siamo davanti a una forma di «info-vandalismo» (gogna mediatica per tutti con pochi controlli e solo sulla provenienza dei documenti, non sulla loro veridicità) come denuncia Steven Aftergood, uno scienziato che, pure, era stato invitato a entrare nel team di «Wikileaks»? L’ altro quesito, inevitabilmente legato al primo, riguarda la personalità di Assange: chi è veramente questo misterioso 39enne del quale si sa pochissimo, salvo le storie avventurose da lui stesso raccontate ai pochi giornalisti che sono riusciti ad avvicinarlo nei suoi rifugi? Wikileaks, un’ organizzazione «senza fissa dimora» (ha indirizzi in Svezia, Belgio, ora anche in Islanda) potrebbe mettere radici proprio a Reykjavik dove è stata appena varata una legge molto garantista: chi vuole pubblicare informazioni segrete, comprese quelle riguardanti la sicurezza militare di un Paese, potrà farlo dai siti islandesi senza rischiare incriminazioni. Un porto franco per il giornalismo investigativo, esultano in molti. Ma WikiLeaks.org, notano i suoi stessi (anonimi) attivisti, non è un’ organizzazione giornalistica. Solo un efficientissimo collettore di documenti: materiale offerto al pubblico senza mediazioni. Tocca a ognuno di noi selezionare, farsi un’ idea di cosa è credibile e cosa no, distinguere i fatti dalle calunnie. Assange le sue idee le ha: Wikileaks vuole denunciare i regimi oppressivi delle repubbliche ex sovietiche, dell’ Asia Centrale, del Medio Oriente, dell’ Africa sub-sahariana. Ma da quando è nato, nel 2006, il sito ha fatto notizia soprattutto con storie americane: la guerra in Afghanistan, Guantanamo, Sarah Palin, Scientology, oltre a racconti di corruzione in Kenia e a un documento su una campagna di assassinii politici in Somalia la cui autenticità è, però, assai dubbia, per ammissione dello stesso sito. Certo, spesso i suoi documenti hanno aperto nuovi orizzonti e infatti Wikileaks è stata più volte premiata e ha ricevuto donazioni con le quali, assicura Assange, paga tutte le sue spese. Ma è questo il modo giusto per analizzare la realtà o si rischia, come ha rabbiosamente commentato il ministro della Difesa Usa, Robert Gates, di «guardare il mondo attraverso il foro di una cannuccia», cioè senza vedere quello che c’ è a monte e a valle del documento (o filmato) che viene messo in Rete? Assange ha dovuto fronteggiare questa accusa già nell’ aprile scorso quando vennero diffuse le immagini di un elicottero «Apache» che spara su un gruppo di presunti insorti, uccidendo in realtà soprattutto due giornalisti della Reuters e civili che appaiono inermi. Allora, però, i responsabili furono puniti, la storia ebbe vasta eco. Non abbastanza per Assange che non crede nella «mediazione» della stampa, ma poi si irrita se i mediatori non rilanciano con sufficiente energia i suoi «scoop». Così stavolta, per non correre rischi, ha usato una dose «da cavallo» (92 mila documenti) e li ha messi nelle mani di tre «cattedrali» del giornalismo tradizionale.
Il sito del “nomade” australiano che sfida i governi di tutto il mondo
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