• sabato , 23 Novembre 2024

L’imbarazzo di Ben i passi svelti di Angela

Superata a maggio la fase più acuta della crisi, in Italia c’è stata una caduta di tensione sui rischi dell’economia. In solo poche settimane le priorità della polemica interna si sono violentemente scrollate di dosso i vincoli di razionalità imposti dalle difficoltà. Gli ultimi dati da Washington, Pechino e Berlino consigliano minore spensieratezza. L’imbarazzo in cui si è trovata ieri sera la Federal Reserve americana, alle prese con una disoccupazione più insidiosa del previsto e con una politica fiscale immobilizzata dai debiti, rende l’idea delle difficoltà dell’economia globale. La produttività del lavoro Usa è tornata a scendere e le previsioni sulla crescita americana per il 2011 sono state tagliate di un punto da inizio anno.
La Fed ha ammesso che la crescita Usa sarà più modesta del previsto. Dovrà acquistare titoli del Tesoro a lungo termine per ridurre i tassi dei mutui. Solo pochi mesi fa si pensava che alzasse i tassi, ora una ricaduta in recessione non può essere esclusa.
Gli squilibri globali, anziché ridursi, sembrano riaprirsi come dimostrano il debole import e il forte export cinese. Washington stima che il surplus commerciale di Pechino possa salire nei prossimi anni al di sopra del 10% del pil cinese. Chi compenserà (con debiti) l’eccesso di risparmio cinese e dei produttori di petrolio? Anche sull’Europa si proietta il rischio di nuovi squilibri tra paesi a ripresa veloce e paesi lenti. In futuro potremmo ricordare questi mesi come un momento di paradossale quiete (economica) in cui nel nostro paese saranno state prese – o no – le misure necessarie a tenere il passo degli altri partner, a cominciare dalla Germania, ma la sensazione è che buona parte del teatro politico sia piuttosto distratto.
L’economia tedesca aveva sofferto quanto quella italiana nel 2009 per la caduta dell’export mondiale, ma ora si sta riprendendo vigorosamente. Tra il 2010 e il 2011 Berlino dovrebbe crescere cumulativamente dell’1,5-2% più della media degli altri paesi euro. Una crescita e una fiducia maggiori daranno ulteriori vantaggi alla Germania: un più basso costo del capitale, l’investimento all’estero dei risparmi con rendimenti più elevati e la possibilità di continuare a esportare grazie a un euro che non si apprezza quando il solo surplus commerciale tedesco aumenta.
La differenza di passo di oggi alimenterà quindi la divergenza di domani.
I successi tedeschi e scandinavi dimostrano che anche in Europa c’è una strada possibile per beneficiare della globalizzazione: apertura dei mercati, flessibilità del lavoro e una rete sociale resa più solida dalla disciplina di bilancio. L’unica spesa pubblica che aumenta attualmente è quella per la ricerca e per l’istruzione dei cittadini. Al tempo stesso, quei successi sono di monito per i paesi politicamente pigri. Essi rischiano di pagare la loro inefficienza più caro che prima della crisi. Tutto ciò che gioca a favore della Germania gioca a sfavore degli altri: tassi reali troppo alti, minore crescita ed euro troppo forte. Sarà questo il volto della crisi europea di domani? La politica italiana dovrebbe occuparsene oggi.
La ripresa tedesca è trainata dall’export. Dati recenti mostrano che anche l’import è aumentato e hanno fatto sperare che la domanda interna tedesca potesse trainare la crescita dei paesi vicini. Ma un’analisi dettagliata frena l’ottimismo: l’import cresce nelle componenti che servono a produrre l’export. Non c’è ripresa autonoma dei consumi interni se non grazie alla performance migliore del previsto del mercato del lavoro (le imprese non hanno voluto perdere operai molto qualificati durante la crisi e gli schemi di part-time lo hanno reso possibile), senza la quale i consumi sarebbero crollati. In pratica l’export continua a rappresentare l’80-90% della crescita del pil tedesco.
l surplus commerciale non è solo un titolo di merito industriale del paese, ma un fattore di grave squilibrio europeo. In Germania il settore dei servizi è inefficiente e la concorrenza è limitata dagli insuccessi delle direttive di liberalizzazione comunitarie. Come ha spiegato Mario Monti nel rapporto alla Commissione Ue, il completamento del mercato interno offre una strada per il riequilibrio. L’Italia dovrebbe farsene parte attiva. Ma la comprensione di questi temi sembra oggi molto lontana da Roma. E in tali condizioni non sarà facile convincere Berlino, che di fronte alle proposte di integrazione europea – ultima quella di dare potestà fiscale alla Commissione – oppone un tono sempre più infastidito. Ma se il prosieguo della crisi europea sarà “solitario” anziché “cooperativo”, se cioè ogni paese dovrà cavarsela da sé, il costo dell’aggiustamento strutturale per i paesi lenti sarà ancora più alto.

Fonte: Sole 24 Ore 11 agosto 2010

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