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Serve una nuova Bretton Woods

Più che una guerra valutaria, quella a cui stiamo assistendo è l’inevitabile conseguenza dei mancati aggiustamenti di governance del sistema finanziario mondiale che si sono resi necessari dopo la Grande Crisi e che i leader dei maggiori paesi si erano pur impegnati solennemente ad approvare. Fin dall’estate del 2007 c’è stato chi – come il sottoscritto, ma eravamo in pochi – ha indicato in una nuova Bretton Woods la prima delle necessità per evitare che saltasse l’intera economia globale.
Si è invece preferito arginare producendo debito pubblico che assorbisse quello privato in eccesso, cosa che ha funzionato nel breve termine ma ha a costo di nuovi squilibri (eccesso di debiti sovrani e ripresa diseguale tra economie mature ed emergenti) che a loro volta si tenta ora di sanare con un’affannosa gara delle banche centrali a chi indebolisce di più le proprie monete. Come? La Fed con un nuovo giro di quantitative easing (acquisto sul mercato di attività finanziaria) con lo scopo di immettere liquidità nell’economia Usa e indebolire il dollaro per rilanciare le esportazioni americane.
La Cina annunciando ma non praticando l’apprezzamento dello yuan. India, Corea e Brasile, spaventate del rialzo delle loro monete, tirando il freno. La Banca del Giappone intervenendo sul mercato dei cambi per trovare nel ribasso dello yen la chiave del rebus di una moneta forte e di un’economia debole. La Bce invece, ancora alle prese con debiti sovrani eccessivi e banche non ancora in equilibrio in vista di Basilea3, ha lasciato che fosse l’euro a pagare il prezzo – con i danni all’export – di un gioco del cerino che doveva pur vedere una moneta rivalutarsi. Il rischio è che tutto questo si trasferisca sul terreno dell’interscambio, facendo partire dazi e guerre commerciali.
Si può evitare? La miglior ricetta sarebbe quella di mettere tutti intorno al tavolo per una riscrittura delle regole valutarie mondiali. Ma di una nuova Bretton Woods, francamente, non si vede neppure l’ombra. In attesa, però, Europa, Usa e Giappone potrebbero almeno coordinare le loro politiche monetarie, sia per togliere alla speculazione gli arbitraggi, sia per evitare che le economie mature invece di stimolare la domanda interna di ciascuna, si facciano la guerra delle esportazioni giocando sui cambi più bassi.
Inoltre queste aree del mondo hanno interesse a far sì che i surplus delle economie emergenti siano usati per assorbire una parte dei loro debiti. Come è già stato per gli Stati Uniti, che hanno messo nelle mani di Pechino la gran parte dei loro treasury bond, e come la stessa Cina ha già mostrato di voler fare con la Grecia. E in particolare per l’Europa, piazzare in Cina non solo le merci ma anche delle belle fette di titoli dei debiti sovrani non sarebbe affatto male. Difficile? Almeno provateci.

Fonte: Il Messaggero del 10 ottobre 2010

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