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Tremonti:i bankers sono tornati

«Lo scorso anno di questi tempi la comunicazione rispetto agli incontri di Washington mostrava un certo grado di ottimismo, in rapporto alle impressioni di oggi. L’Italia al contrario a quell’epoca già parlava di una crescita duale, divisa a diverse velocità. A dimostrazione del fatto che i realisti sono “ottimisti informati” avevamo ragione e se confrontate i comunicati dell’anno scorso con quelli di oggi, si può constatare che c’è un po’ meno ottimismo».
Esordisce così il ministro dell’Economia Giulio Tremonti per raccontare il clima del vertice informale del G-7 di Washington e che si è occupato quasi esclusivamente della questione dei cambi, senza riferire alcun dettaglio su quest’ultimo aspetto, secondo una comune regia che impone riservatezza su un tema così delicato, ma descrive in dettaglio il nuovo contesto economico nel quale i grandi dell’economia si trovano a operare.
A far da sfondo al contesto internazionale di questo ottobre del 2010 non c’è secondo Tremonti soltanto un’intonazione meno ottimistica delle prospettive dell’economia internazionale. C’è anche il ritorno in grande stile sulla scena di quelli che, per distinguerli rigorosamente dalle aziende di credito made in Italy, Tremonti chiama “bankers” cioè i grandi banchieri d’affari: «I bankers sono tornati». «Non parlo dei banchieri italiani – precisa – ma ricordo che due anni fa o un anno fa a Istanbul le grandi banche d’affari erano molto low profile, mentre ora sono tornati i ricevimenti costosi, lo champagne. Ed è a piede libero la speculazione,lo sviluppo dei derivati».
«Si è fatta troppa confusione – spiega – tra ciclo economico e crisi, che invece è una discontinuità e nel gestire la crisi, scambiandola per un ciclo economico, si è fatta la scelta di salvare la speculazione che stava dentro le banche perché le banche avevano un’importanza sistemica». Tremonti cita la crisi del ’29 e ricorda che allora i soldi pubblici furono usati per contrastare le difficoltà di famiglie e imprese. «Stavolta, invece, si è fatta la scelta di salvare la speculazione. E in molti paesi il debito pubblico è salito perché è stata fatta la scelta di salvare le banche in conto terzi. Con il risultato che i poveri paesi che hanno dovuto salvare le banche adesso sono loro ad essere biasimati» commenta Tremonti, precisando che il fenomeno non riguarda l’Italia. «Ma – aggiunge – quando saranno disponibili le slides sull’entità della shadow finance, la finanza ombra, ci si renderà conto che le cose sono ancora quelle di prima. Tornano i bankers, i bonus sono elevati, i derivati aumentano… tutto come prima».
Quanto al nodo dei cambi il ministro da un lato ha osservato che questi costituiscono «un nodo fondamentale e hanno dietro delle realtà strutturali molto diverse», aggiungendo che è abbastanza curioso rilevare come sia le politiche protezionistiche sia specularmente le politiche espansionistiche attuate attraverso la moneta «sono fuori dal mercato». E in questa luce, comunque, ha ribadito Tremonti, sono oneste le argomentazioni della Cina laddove questa sostiene che se dovesse rivalutare il cambio troppo velocemente ne conseguirebbero molti problemi sociali legati a un crollo delle esportazioni del paese. A chi gli chiede se abbia cambiato opinione su quella Cina che anni fa era stata da lui dipinta con toni molto negativi Tremonti replica: «Io non sono mai stato critico sulla Cina. Sono sempre stato critico sulle posizioni dell’Occidente che ha messo in pista la meccanica della globalizzazione in modo troppo accelerato». Del resto noi europei, aggiunge, «ci stiamo spiazzando da soli nella competizione attraverso l’eccesso di regole». Poi spiega che «nell’agenda italiana per lo sviluppo che stiamo preparando e che presenteremo all’Europa si sottolinea in primo luogo che che in questo momento la competizione è fra giganti e che noi non abbiamo ancora la dimensione necessaria». Inoltre – aggiunge – «abbiamo regole anche sugli zucchini e sui fagioli. Da noi la guardia forestale chiede se c’è il passaporto per il cavallo: questi sono ceppi medievali, i cinesi non hanno nessuna colpa».
Detto questo, Tremonti tiene comunque a precisare che rispetto al problema della disoccupazione che certamente è grave negli Stati Uniti, vede l’Italia al di sotto della media internazionale. Questo incontro, riassume, «è stato un incontro normale in un clima normale. E per un paese come l’Italia, essere nella norma e non fare notizia è già una buona notizia».

Fonte: Il Sole 24 Ore 11 ottobre 2010

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