I candidati accusano i rivali d’ essere amici della Repubblica Popolare In Nevada Il capo dei senatori democratici Harry Reid accusa la rivale Sharron Angle di aver favorito l’ outsourcing con sgravi fiscali.
Più che un giornale, il New York Times di ieri sembrava un bollettino di guerra: una guerra contro la Cina dichiarata da un’ America che si sta risvegliando da un lungo letargo. In prima pagina un servizio sullo spionaggio industriale condotto da ingegneri cinesi in aziende tecnologiche americane. La sezione economica aperta da un articolo su un’ iniziativa dell’ Amministrazione Obama che accusa il governo di Pechino di sostenere i produttori dell’ eolico e dell’ energia solare con sussidi illegali (con relative repliche cinesi). Nelle pagine dei commenti un intervento del senatore democratico dell’ Ohio Sherrod Brown che chiede un aumento dei dazi contro le scorrettezze commerciali della Cina mentre il Nobel per l’ economia Paul Krugman si concentra sul monopolio su alcuni materiali rarissimi costruito dai cinesi anno dopo anno, nell’ indifferenza degli Usa e degli altri Paesi occidentali. Che ora rischiano di non potersi più rifornire di diversi minerali strategici. Una raffica che non è casuale: il «free trade» aveva perso molti sostenitori già due anni fa, ai tempi dell’ elezione di Obama, a causa della continua emorragia di posti di lavoro, trasferiti dalle imprese Usa in Asia. Ma con la recessione degli ultimi due anni, l’ esplosione della disoccupazione, la guerra delle monete col rifiuto di Pechino di lasciare lo yuan libero di rivalutarsi, il clima si è fatto assai più pesante. Contribuisce a far crescere il malumore anche la tendenza dei cinesi a replicare alle accuse americane più con le sfide che con una disponibilità al negoziato: sempre ieri il Washington Post dedicava il principale titolo della prima pagina a un’ indagine del governo Usa dalla quale emerge che varie imprese cinesi, violando l’ embargo, hanno aiutato l’ Iran a migliorare la sua tecnologia missilistica e nucleare. Ma pesa moltissimo anche il clima surriscaldato della campagna elettorale Usa. Attaccare l’ avversario accusandolo di voler favorire l’ import dalla Cina è diventato abituale tanto in campo democratico quanto tra i repubblicani: in Nevada il capo dei senatori democratici, Harry Reid, insidiato dalla scatenata Sharron Angle, portabandiera dei «Tea Party», reagisce affermando che, mentre lui ha favorito investimenti nelle energie alternative che hanno creato migliaia di posti di lavoro, la Angle ha sostenuto «gli sgravi fiscali a favore delle imprese che esportano posti di lavoro in Cina e India». Preoccupato più di recuperare il consenso di elettori frustrati ed esasperati che di preservare l’ americanissimo principio del libero scambio, lo «spot» di Reid definisce addirittura la Angle «la migliore amica dei lavoratori stranieri»: la forza, cioè, che ha fatto grande l’ America ma contro la quale sta montando il risentimento di un popolo che ha perso le sue certezze ed è costretto a ridimensionare il tenore di vita. E allora si può anche usare l’ espressione «proud free trader» (orgoglioso fautore del libero scambio) come un insulto rivolto dal deputato democratico dell’ Ohio Zack Space al suo avversario repubblicano Bob Gibbs. Accusato, con tanto di sfondo di cinesi in festa coi loro dragoni nelle strade, di voler «aumentare il LORO tenore di vita», cioè quello del popolo asiatico. Un’ accusa che per molti, anche a sinistra, appare pericolosamente venata di razzismo. I repubblicani liberisti non sanno se inorridire di più per queste accuse democratiche o davanti allo spot televisivo del loro compagno di partito Ryan Frazier che in Colorado cerca di togliere voti al deputato in carica, Ed Perlmutter, mostrando una porta della Città Proibita che si apre («grazie alle leggi che mandano lavoro all’ estero», suggerisce la voce dello speaker) e mostrando le immagini di una Cina trionfante. Come sempre, le crisi si trascinano dietro tentazioni autarchiche. Anche se le esperienze del passato insegnano che ad alzare barriere c’ è solo da perdere, per adesso prevale l’ astio per tutto ciò che è straniero: dagli immigrati messicani all’ «outsourcing» verso l’ India, all’ ostilità latente nei confronti della comunità musulmana. Sono colpi sotto la cintura, come quelli scagliati negli anni 80 contro i giapponesi che allora cominciavano a invadere l’ America con le loro auto. Colpi scorretti ma che funzionano: sono almeno 30 i candidati che li sferrano, dal North Carolina alla California dove la senatrice Barbara Boxer accusa l’ avversaria repubblicana Carly Fiorina di aver licenziato in massa e trasferito lavorazioni all’ estero quando guidava la Hewlett Packard. Conferma il sondaggista Stanley Greenberg: quando i democratici hanno cominciato a lamentarsi per i finanziamenti occulti che affluivano ai repubblicani, la cosa non ha fatto clamore. Clamore che è arrivato quando si è cominciato a sostenere che una parte del denaro dato dalle imprese ai conservatori per la campagna viene da compagnie straniere; e, soprattutto, quando l’ accusa è stata condensata in un «commercial» televisivo nel quale si vede un tavolo sul quale si accumulano pile di banconote cinesi.
“L’economia?Colpa di Pechimo” il nuovo nemico dell’America al voto
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