• sabato , 23 Novembre 2024

Lì dove anche i democristiani “sparano” alle leggi di Obama

Arrivando in aereo il panorama dei monti Appalachi coperti di boschi coi colori gialli e rossi dell’ autunno è interrotto da gigantesche miniere di carbone a cielo aperto, frutto della tecnica «mountain top mining» introdotta 40 anni fa: non più gallerie, ma montagne demolite dalla sommità con l’ esplosivo. Costa meno ed è meno pericoloso. Con notevoli ferite per l’ ambiente che da queste parti, però, ha pochi difensori. Appena esci dall’ aeroporto e imbocchi l’ autostrada, un gigantesco cartellone ti informa che «Qui il carbone vota». Arrivi in albergo, accendi la tv ed ecco lo «spot» di un uomo massiccio che afferra la sua carabina, inserisce una pallottola nel caricatore, spara e centra un bersaglio lontano: il testo del «cap & trade», la legge anti effetto-serra di Obama, ferma in Parlamento. Mentre estrae il bossolo, l’ uomo fissa la telecamera e promette: «Andrò a Washington e metterò con le spalle al muro questa Amministrazione. Il governo deve smettere di infilarsi nelle nostre tasche. Lo costringerò a buttare via la parte cattiva della riforma sanitaria di Obama e farò fuori questa legge che fa male alla West Virginia». L’ appello agli elettori di un candidato della destra radicale dei «Tea Party»? Macché, protagonista del «commercial» trasmesso dalle reti di questo Stato piccolo (meno di due milioni di abitanti in una superficie pari a Lombardia, Veneto e Piemonte messi insieme), ma strategico è Joe Manchin, popolarissimo governatore democratico della West Virginia. Tanto popolare che il suo partito gli ha chiesto di spostarsi al Senato dove i democratici, in difficoltà in vari collegi, rischiano di perdere la maggioranza. Uno dei seggi critici è proprio quello della West Virginia, occupato negli ultimi 51 anni (51, avete letto bene) dal senatore Robert Byrd, scomparso quattro mesi fa all’ età di 92 anni. Come sostituirlo in uno Stato che tradizionalmente vota democratico (è terra di minatori e operai), ma è animato da sentimenti fortemente conservatori? La Casa Bianca aveva scelto Manchin proprio per non rischiare: apprezzato da tutti (è stato rieletto col 70 per cento dei voti), è appoggiato dai sindacati ma anche dall’ industria del carbone e perfino dalla NRA, la lobby delle armi da fuoco, che in genere sostiene solo conservatori tosti. Sembrava una competizione senza storia, anche perché l’ avversario schierato dai repubblicani – John Raese, un industriale sempre sconfitto in passato – ha tratti caricaturali. Costretto a fare il pendolare perché moglie e figli alle «colline nere» della West Virginia hanno preferito le spiagge bianche di Palm Beach, in Florida, Raese, quando parla in pubblico, sembra il cartone animato di un «padrone del vapore» ottocentesco: «I soldi? Li ho fatti alla vecchia maniera, ereditandoli» e giù una fragorosa risata. Poi si dice contrario al salario minimo (7,25 dollari l’ ora) e anche a consentire a chi è malato e non ha copertura medica di acquistare una polizza sanitaria: «E’ come pretendere di assicurare un’ auto per incidente già avvenuto». Eppure la sfida senza storia si è improvvisamente rianimata quando gli uomini della campagna repubblicana hanno deciso che l’ avversario di Raese non era Manchin ma Obama, che da queste parti è visto come il fumo sugli occhi per i suoi discorsi contro il carbone, unica carta di questo Stato, per il resto molto povero. Stato nel quale, infatti, Obama è stato più volte battuto: da Hillary Clinton alle primarie (26 punti di scarto) e anche da McCain alle presidenziali del 2008. Al vecchio padrone delle ferriere (letteralmente: produce le parti cromate delle «Harley Davidson» e i paraurti delle Buick) è bastato fare un ragionamento facile facile per capovolgere i sondaggi: «Joe è un eccellente governatore, ma a Washington sarà solo una fotocopia di Obama». Girando per le strade di Charleston, o davanti allo stabilimento dove si producono motori Toyota, l’ idea di non mandare Manchin a Washington si fa strada. Anche tra i suoi sostenitori: «Se è così bravo perché regalarlo al Congresso? Ci serve di più qui», dice Jimmy, il benzinaio che mi riempie il serbatoio. Parole non prive di senso perché, se non verrà eletto senatore, Manchin resterà comunque governatore per il resto del mandato. Quando ha capito il pericolo e ha cominciato a vedere per strada cartelli messi dai repubblicani che recitano semplicemente: «Obama vuole che voti democratico», Joe ha deciso di imbracciare il fucile per cercare di dimostrare di non essere né un intimo, né un replicante del presidente. E’ servito a poco: gli «spot» di Raese si sono fatti martellanti e ora sono costellati da immagini di ricevimenti nei quali Manchin compare, in smoking, tra Barack e Michelle. «Joe ha reagito tempestivamente e ha fatto la scelta giusta, marcando le sue differenze dal partito», dice Mike Plante, consulente elettorale per i democratici. Ma nel quartier generale, i ragazzi della campagna di Manchin si dannano l’ anima per spiegare alla gente che il 2 novembre sulla scheda non ci sarà il nome di Obama.

Fonte: Corriere della Sera del 23 ottobre 2010

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