Non ci sono più le mezze stagioni, signora mia, e neppure la Bbc è più quella di una volta. A riconoscerlo è stato il Financial Times: compensi eccessivi – il direttore generale prende 800mila sterline l’anno, il doppio del suo predecessore – iniziative ambiziose, incidenti gestiti con goffaggine, ne hanno leso l’immagine. La fondazione istituita dal governo Brown in rappresentanza dei consumatori è diventata l’arena degli scontri tra presidente e direttore generale. Il nuovo governo ha tagliato del 16% le risorse bloccandole per sei anni. Non è certo solo l’editorialista del Ft a chiedersi se, invece di inseguire l’audience con programmi popolari, la Bbc non dovrebbe essere ricondotta alla sua missione primaria, «trasmettere programmi di qualità».
Certo che la Bbc è diversa da tutte le altre televisioni. Diversa per il marchio “etico” che le impresse John Reith all’origine, per essere stata per milioni di persone la voce della libertà durante la guerra, e per essere oggi per diecine di milioni un’autorevole fonte d’informazione.
Diversità sono anche la monarchia britannica, il Commonwealth, un sistema politico con una camera composta, fino a poco tempo fa, da membri per diritto ereditario o nominati dal monarca. Diversa è la società britannica, che sembra avere conservato tratti di quella basata sul rispetto reciproco di ciascuno nella gerarchia sociale, e che Kenneth Minogue chiama «società deferente», per distinguerla da quella formata da collettività meccanicamente antagoniste.
E dunque è del massimo interesse per noi constatare che, nonostante tutti i motivi per cui la Bbc è storicamente e strutturalmente diversa dalla Rai, identici siano i tipi di difficoltà in cui l’una e l’altra finiscono impigliate.
Difficoltà a rispondere agli interessi “veri” di chi paga il canone, ad assicurare l’indipendenza dal potere politico da cui peraltro si dipende per i mezzi economici, ad accaparrarsi i migliori conduttori e manager senza adeguarsi allo star system, a rispondere all’aspirazione per una qualità impossibile da precisare e men che meno da misurare: le critiche che il Ft muove alla Bbc sono la stessa litania che da decenni sentiamo recitare a proposito della Rai.
Quanti pensano che tutto andrebbe a posto se la Commissione di vigilanza Rai non fosse il luogo di scontro tra i partiti, se in cda si mandassero professionisti anziché politici, se il direttore generale non fosse nominato dal governo in base alla sua fedeltà, devono rendersi conto che quand’anche la Rai fosse “presa per incantamento” e miracolosamente scomparissero le escrescenze che la deturpano, rimarrebbero le incongruenze strutturali che affliggono perfino la Bbc.
Perché sia quanti reclamano la Bbc “di una volta”, sia quanti inseguono una Rai “come la Bbc” vogliono in realtà una sorta di terza rete politicamente corretta: cosa che non coincide con cosa vuole chi a casa sua ha il telecomando in mano.
Certo, noi poi abbiamo l'”anomalia” politica, il controllo da parte di Berlusconi della Rai in quanto capo del governo e di Mediaset in quanto proprietario, che il Ft ha sempre giudicato severamente. Ma le questioni che riguardano i media hanno sempre una valenza politica: e contenuti politici ritroviamo nella vivace polemica che oppone la Bbc, insieme alla stampa, all’impero mediatico di Murdoch.
A differenza di quanto fecero i governi britannici, i nostri, incalzati dal partito Rai, si opposero ad assicurare per tempo lo spazio dovuto all’iniziativa privata. Quella storia non la si può riscrivere: dovrebbe essere un argomento in più, oltre alla constatazione delle difficoltà comuni a tutte le televisioni pubbliche, Bbc compresa, per prendere la sola soluzione logica e risolutiva: vendere la Rai, tutta se possibile, e se no almeno due delle sue tre reti.
Ma c’è da scommettere che anche la prospettiva di un cambiamento di fase politica verrà usata non già per prendere questa decisione, bensì per rinviarla.
Media e tv pubblica
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