Il segretario Rasmussen: «Se necessario l’ impegno continuerà anche oltre il 2014» I carri armati Petraeus ha dispiegato gli Abrams nel Sud. Nel 2009 si era preferito evitarlo per paura di evocare quelli russi degli anni 80.
Nato rinnovata con l’ adozione di un nuovo «concetto strategico» e di una missione aggiornata alle sfide del Ventunesimo secolo (terrorismo, attacchi informatici, protezione a 360 gradi contro possibili attacchi di missili balistici), ma che deve affrontare in Afghanistan un test vitale per la sua sopravvivenza. E la guerra nelle montagne dell’ Asia centrale è destinata a durare molto più del previsto: quella del luglio 2011 per l’ inizio del ritiro delle truppe occidentali diventa una data puramente simbolica. L’ impegno sul campo di battaglia continuerà fino a tutto il 2014. E anche oltre, ha annunciato ieri il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen aprendo a Lisbona i lavori del vertice annuale, se a quel punto le forze afghane non avranno ancora raggiunto il pieno controllo del Paese. Dal campo, intanto, vengono indicazioni contrastanti. Il generale David Petraeus, comandante supremo delle forze alleate in Afghanistan, ha detto di arrivare a Lisbona con buone notizie: in alcune province la controffensiva alleata sta dando risultati significativi. In quella del Central Helmand, ad esempio, la Nato ha ripreso il controllo della situazione. Ma l’ esercito afghano avrà bisogno di molto più tempo del previsto per arrivare a un livello di operatività paragonabile a quello delle forze occidentali che deve sostituire. E in varie regioni la resistenza talebana cresce con l’ aumentare della pressione militare Alleata. Molti osservatori ritengono che, col «letargo» che sta per essere imposto dal gelo invernale, bisognerà attendere la primavera per avere le idee chiare sull’ efficacia della controffensiva decisa da Obama. Una situazione difficile da decifrare, la cui ambiguità è simboleggiata dalla decisione dello stesso Petraeus di autorizzare il dispiegamento nel Sud Est del Paese dei mastodontici carri armati Abrams M1 (68 tonnellate e un cannone precisissimo capace di polverizzare una casa a due chilometri di distanza). Per il generale la decisione (per ora limitata ad una squadra di 16 «tank») dimostra la determinazione degli Alleati nel voler portare a compimento con successo la loro offensiva contro i talebani. Ma il ricorso a queste fortezze semoventi può anche accreditare l’ immagine di forze costrette sulla difensiva: i «marines» avevano già chiesto gli Abrams nel luglio 2009, ma l’ allora capo militare, il generale David McKiernan, li aveva negati nel timore di evocare il fantasma dei carri armati russi dell’ invasione degli anni ‘ 80. Per Barack Obama quello del vertice dell’ Alleanza Atlantica a Lisbona è un altro passaggio difficile della sua «via crucis» post elettorale, dopo che gli Usa non sono riusciti a far prevalere la loro linea al G-20 di Seul, le grandi difficoltà nel confronto con la Cina e, in America, lo «stop» dei repubblicani alla ratifica congressuale del trattato Start-2 per la riduzione delle armi nucleari strategiche firmato dal presidente Usa nell’ aprile scorso. Mentre a Seul gli Stati Uniti avevano pagata cara la loro attuale debolezza economica, a Lisbona ieri sono riusciti quantomeno a costruire su una supremazia militare non ancora scalfita l’ ampio consenso necessario per trasformare e rilanciare l’ Alleanza atlantica. «Le differenze, i conflitti d’ interessi tra i 28 partner c’ erano», hanno spiegato ieri l’ ambasciatore Usa alla Nato, Ivo Daalder e Ben Rhodes, il «numero due» del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, «ma sono stati superati con un paziente confronto che è sfociato nella decisione appena presa dal vertice politico dell’ Alleanza: una decisione unanime che dà il via operativo all’ adozione della nuova dottrina strategica» (ma restano da definire dettagli non secondari come le catene di comando nella gestione delle batterie missilistiche). Anche le difficoltà con Mosca – in passato contraria alle difese antimissile annunciate dalla presidenza Bush, allora percepite come una mossa per proteggere l’ Europa Orientale da possibili attacchi russi – potrebbero essere superate. Dopo il colloquio chiarificatore di una settimana fa a Yokohama tra Obama e Dmitri Medvedev, oggi, infatti, qui a Lisbona la Nato chiederà ufficialmente al presidente russo di far partecipare anche il suo Paese al programma di difesa contro i vettori balistici. La principale incognita, per il presidente americano e l’ intera Alleanza, come detto, rimane l’ Afghanistan: un rebus condizionato da variabili di ogni tipo rispetto al quale il paziente lavoro di cucitura dei diplomatici può ben poco. Oggi è la giornata cruciale, con l’ intervento del presidente Karzai, nei giorni scorsi molto polemico con la Nato per le caratteristiche di un intervento militare giudicato troppo pesante e tale da rendere più difficili i rapporti con la popolazione civile, agevolando il proselitismo dei talebani. Una sortita che aveva molto irritato Petraeus. Ma la situazione resta delicata e il fatto che l’ intera costruzione Nato dipenda in questo momento dall’ esito di un conflitto così complesso e anomalo preoccupa non poco gli americani.
Ma il test di sopravvivenza è l’Afghanistan
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