• domenica , 24 Novembre 2024

L’Irlanda e la follia delle banche

«La nuova economia globale pone sfide reali di lungo periodo alla Gran Bretagna, ma ci offre anche opportunità reali di prosperità e successo. In Irlanda questo lo capiscono. Hanno liberalizzato i mercati, sviluppato le capacità della loro forza lavoro, incoraggiato l’intrapresa e l’innovazione e creato una economia dinamica. Hanno molto da insegnarci, se solo abbiamo voglia di imparare da loro». Parole profetiche, pronunciate dal futuro Cancelliere dello scacchiere inglese, George Osborne, nel corso di una visita in Irlanda nel 2006. In questi giorni Osborne starà rimpiangendo di non aver usato toni più moderati a proposito delle conquiste dell’economia irlandese. La bolla immobiliare che si gonfiava da anni in quella che i romani chiamavano Hibernia, è fragorosamente esplosa, rivelando le fondamenta di argilla di un miracolo costruito su uno status fiscale da paese offshore tollerato in un membro dell’Euro e dell’Unione Europea, su produzioni basate in Irlanda da multinazionali di tutto il mondo per eludere le imposte altrove che gonfiavano il Pil grazie ai prezzi di trasferimento, e specialmente su un boom edilizio permesso da regole urbanistiche inesistenti. Ed è stato permesso anche, il boom edilizio, da una corruzione massiccia e dai finanziamenti concessi da banche irlandesi cresciute grazie ai depositi ottenuti sul mercato interbancario e dei capitali internazionale.
Governo e banca centrale hanno guardato con compiacimento, per anni, a quanto accadeva sotto i loro occhi, tra gli applausi di politici ed economisti di tutto il mondo. Osborne era di certo in buona compagnia quando proclamava la propria ammirazione agli irlandesi ed esortava gli inglesi ad imitarli.
Quante volte economisti, politici e giornalisti di casa nostra ci hanno rivolto le stesse esortazioni. Sono spesso gli stessi che oggi, senza ombra di pudore, rivolgono corrucciati moniti agli irlandesi.
George Osborne, in realtà, dovrebbe essere soddisfatto. Gli inglesi sono stati buoni allievi degli irlandesi (forse dovremmo invece dire che sono stati, come sempre, i loro maestri). Hanno infatti, insieme ai tedeschi, finanziato assai generosamente il miracolo irlandese coi denari delle loro principali banche. Le grandi banche inglesi, infatti, hanno sia prestato agli immobiliaristi irlandesi direttamente, tramite partecipate irlandesi, sia dato in prestito alle banche irlandesi risorse a loro volta raccolte sui mercati interbancari e delle obbligazioni internazionali.
In aggiunta, e qui sta la parte più rischiosa della faccenda, le grandi banche controllano il 90% dei depositi al dettaglio del mercato inglese, ma questa parte del loro passivo è parecchio inferiore al totale, dove prevale il ricorso, come ho appena detto, ai mercati internazionali dei fondi a breve.
Nel suo “Financial Stability Report” di qualche mese fa, la Banca d’Inghilterra, studiando la struttura dei bilanci delle grandi banche della sua giurisdizione, affermava che esse avrebbero dovuto, visti gli impegni previsti nel futuro prossimo nel loro passivo, di restituzione e rinnovo di prestiti all’ingrosso presi sul mercato interbancario internazionale, provvedere a sostituirli con un corposo aumento dei depositi al dettaglio dei risparmiatori inglesi.
Ora, data la posizione di virtuale monopolio che le stesse banche hanno in tale settore, come possano procurarsi ulteriori quote di mercato dovrebbe forse dirglielo la stessa Banca d’Inghilterra, se lo sa.
L’alternativa, ovviamente, è quella di liquidare in tutta fretta una notevole parte dell’attivo, nel mezzo di una situazione internazionale che non sarà certo favorevole a questi smobilizzi frettolosi.
Naturalmente, dato che questi ragionamenti si stanno facendo in pubblico, di fronte a operatori finanziari internazionali divisi tra conigli pronti a fuggire e volpi che cercano di assicurarsi buone e facili prede approfittando delle turbolenze, se il mercato interbancario internazionale precipita di nuovo in una crisi di liquidità, come ha fatto lo scorso maggio e come può fare di nuovo se non risulta convincente il salvataggio dell’Irlanda o se entrano nel vortice della speculazione il Portogallo e specialmente la Spagna, l’intero sistema bancario inglese può rapidamente fare la fine di quello irlandese, se gli impauriti conigli, incalzati dalle volpi, ritirano i fondi che hanno dato in prestito alle banche britanniche, o si limitano solamente a non volerli rinnovare o sostituire quando scadono.
Dopotutto, si tratterebbe di ripetere, a scala nazionale, quello che accadde nel 2007 alla Northern Rock di Newcastle. Si videro, in quell’occasione, le prime code agli sportelli dal 1866, ma la vera corsa fu ai ritiri dei prestiti interbancari, che letteralmente paralizzò l’intero mercato finanziario mondiale.
Il vortice finanziario che ne seguì obbligò le autorità politiche e monetarie inglesi a immettere capitali per ben 900 miliardi di Euro per rafforzare le banche inglesi, entrando nella loro compagine azionaria.
Questa iniezione di fondi costituisce, secondo i dati che fornisce R&S di Mediobanca nel suo sito web, la metà di tutti gli interventi a favore delle banche dell’intero continente europeo (e se si aggiungono le somme iniettate dalle autorità tedesche nelle loro banche si arriva a ben due terzi del totale).
Un giornalista economico della BBC ha pubblicato sul sito della stessa BBC una tabella che indica le scadenze prossime dei fondi all’ingrosso presi a prestito dalle grandi banche inglesi.Da essa si evince che, nel 2011, essi ammonteranno a circa 250 miliardi di sterline.
A guardare ai bilanci, le banche interessate da queste scadenze hanno posizioni patrimoniali solide, anche secondo i parametri dell’Accordo Basilea 3. A guardare più attentamente tuttavia, si scopre che, in tali posizioni, i cosiddetti prestiti subordinati ottenuti da altre istituzioni finanziarie rappresentano percentuali importanti.
Ora, da quasi un anno la signora Merkel, coadiuvata dal suo ministro Schauble, dal governatore della Bundesbank e da economisti come Hans Werner Sinn, va instillando nei mercati finanziari mondiali, prima di scadenze elettorali importanti in Germania, le paure che ai creditori dei paesi periferici europei sarà chiesto di partecipare al salvataggio dei medesimi con cospicui sacrifici dei valori nominali dei loro crediti. Se esse si rivelano fondate almeno abbastanza da provocare nei creditori una analisi approfondita delle strategie di investimento, ne può solo derivare la conseguenza di una estrema volatilità sul mercato proprio dei prestiti subordinati e degli altri cosiddetti ibridi, che sono i primi, per loro natura giuridica, ai quali si applicherà quello che gli americani hanno battezzato il “taglio di capelli”, lo sconto sul valore nominale dei capitali prestati.
Se le scadenze dei prestiti accesi dalle banche inglesi sul mercato internazionale per rafforzare i propri coefficienti di Basilea e per rinnovare parti del loro passivo in scadenza cadono proprio nel mezzo di una crisi di fiducia innescata da qualche altra esternazione della garrula Cancelliera e dei suoi accoliti, non è eccessivo temere che possa essere proprio la Gran Bretagna, cioè le grandi banche inglesi, a imitare l’Irlanda nella mala ventura.
Ricordiamo che nel 2011 si terranno elezioni regionali in ben sei laender tedeschi. Se quelle in Sassonia Anhalt dello scorso maggio scatenarono la crisi greca e il Congresso della Cdu quella irlandese, per via delle bellicose dichiarazioni che la Merkel e la sua compagnia credettero opportuno fare per assicurarsi il favore popolare, che arriveranno a dire per cercar di vincere addirittura sei elezioni regionali e che effetto avrà quel che diranno sui mercati e sui conti delle banche maggiormente esposte, come quelle inglesi, possiamo solo rabbrividire immaginandolo.
Potremo dire allora che l’allievo Osborne sarà riuscito a superare il maestro Cowen. Dovrà aggiungere ai denari iniettati dal suo predecessore laburista altrettanti fondi e forse ancora di più. Con gli effetti su deficit e debito pubblico che si possono immaginare.
Ma c’è poco da prendere in giro gli inglesi. Chi ha la mia età ricorda che nel 1977, agli impiegati pubblici italiani fu pagato un aumento di stipendio in Buoni del Tesoro. E non è detto che non possa succedere ancora.

Fonte: Affari e Finanza del 29 novembre 2010

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.