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La rabbia degli Usa contro Wikileaks “Attacco alla comunità internazionale”

« Attenti, questo non è un attacco di piccola gente coraggiosa contro un’entità che abusa del suo potere per fare del male. Questa è un’attività criminale basata su informazioni segrete rubate che si configura non come un semplice attacco alla diplomazia degli Stati Uniti, ma come un’offensiva irresponsabile per destabilizzare il complesso dei rapporti fra Stati. E’, insomma, un attacco alla comunità internazionale». Tocca a Hillary Clinton farsi carico in prima persona del nuovo, devastante caso Wikileaks, affrontando la stampa al Dipartimento di Stato pochi minuti prima di partire per un viaggio che la condurrà in Asia Centrale e nel Golfo Persico. Una missione nel corso della quale incontrerà molti degli interlocutori «ustionati» dalla pubblicazione dei cablogrammi diplomatici: dai rappresentanti dei governi europei che parteciperanno a un vertice dell’Osce in Kazakistan al re del Bahrein che, insieme al suo «collega» Abdullah dell’ Arabia Saudita e al principe Mohammed bin Zayed di Abu Dhabi hanno chiesto a Washington di usare la mano pesante contro l’Iran. Insomma, nei prossimi giorni il ministro degli Esteri americano dovrà dedicarsi a un’attività di controllo e riduzione dei danni politici e diplomatici prodotti dalla pubblicazione dei documenti segreti. Un’ attività che, del resto, la Clinton ha già iniziato da diversi giorni. Da quando, infatti, al Dipartimento di Stato hanno capito che stava per scatenarsi uno «tsunami» mondiale, Hillary ha cominciato a chiamare le cancellerie delle principali capitali. Ha spiegato quello che stava per accadere e ha cercato di rassicurare tutti che – come ha ripetuto ieri – «la politica estera dell’America si fa a Washington, non nelle ambasciate». Come dire: non preoccupatevi di quello che trovate nei rapporti diplomatici, spesso sono solo note di servizio approssimative o documenti incompleti. La pubblicazione di un’infinità di documenti interni riservati è, evidentemente, un duro colpo per la politica estera di Barack Obama che, dopo gli anni dell’unilateralismo di Bush, sta cercando di rinsaldare i rapporti con alleati e di ricostruire su nuove basi quelli con la Russia e con altri grandi protagonisti della scena internazionale. Il presidente, però, stavolta ha preferito parlare soprattutto dell’emergenza economica, lasciando la condanna del caso Wikileaks al suo portavoce, Robert Gibbs, al ministro della Giustizia Eric Holder (che ha annunciato una nuova indagine penale contro «Wikileaks») e, soprattutto, a Hillary Clinton, titolare del ministero che è l’epicentro del sisma diplomatico. L’ex «first lady» ha scelto parole durissime: ha trattato quelli di Wikileaks da criminali che operano con premeditazione, ammonendo che ogni paragone con precedenti come quelli dei «Pentagon Papers» (il rapporto segreto sulla guerra del Vietnam pubblicato nel 1971 dal New York Times) è immotivato. Stavolta, infatti, quelli che sono stati rivelati non sono i misfatti di gente che ha tradito la sua missione:i dispacci pubblicati«riflettono emplicemente il lavoro quotidiano di diplomatici che fanno correttamente il loro lavoro nelle ambasciate di tutto il mondo». E’ tuttavia evidente che, a fronte della durezza della reazione, il governo non dispone al momento di chiari strumenti d’intervento per catturare e processare i responsabili (al di là della fonte iniziale della fuga di notizie, arrestato già da tempo).

Fonte: Corriere della Sera del 30 novembre 2010

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