Dopo tante esitazioni, che sono sempre buon foraggio per la speculazione, l’Irlanda ha raggiunto un accordo con l’Unione Europea e il Fondo monetario internazionale per finanziarie le proprie banche in difficoltà e arginare la crisi del suo debito pubblico. Gli analisti di mercato ritengono che la speculazione si sposterà sul Portogallo e, poi, sulla Spagna perché è convinta che l’euro sia una moneta “senza scettro e senza spada”, come questo giornale ha sottolineato. Alcuni osservatori hanno segnalato che, per salvare la finanza di questi due Paesi, le risorse del Fondo monetario europeo si esaurirebbero e, se la speculazione attaccasse l’Italia, resteremmo scoperti.
Nel corso di un dibattito televisivo, un autorevole studioso, Dominick Salvatore, ha fornito una diagnosi preoccupante sulla possibilità che l’euro entri in crisi irreversibile. Questa diagnosi ha la debolezza di considerare solo un attore del dramma, la speculazione, mentre è presente sulla scena un altro attore importante: l’Unione Europea, come ha dimostrato la “rappresentazione” greca e quella irlandese. Per giunta affiancato dal Fondo monetario internazionale, che ha tutto l’interesse, oltre che il compito, di impedire che il mondo entri in una spirale valutaria che trascinerebbe dollaro e yuan, con conseguenze negative sull’euro stesso e sullo sviluppo globale. Pur con tutti i difetti mostrati dalla sua iniziativa, l’Ue mostra coscienza della gravità della situazione e, da un lato, contrasta le spinte alla dissoluzione dell’euroarea che provengono un po’ da tutti i Paesi membri, e, dall’altro, ignora i fondamenti della sua debolezza istituzionale: la mancanza di un’unione politica. Se si tiene conto di questo attore fondamentale per la vita non solo monetaria, ma economica dell’Ue, pur restando aperta la possibilità che la speculazione attacchi l’Italia, la diagnosi di Salvatore non può essere tramutata in una cifra così elevata. La situazione é tale che, ricorrendo a una similitudine, se si lancia in aria una moneta e non si sa quale faccia resti scoperta.
Peraltro l’Unione Europea non può continuare a nascondere le sue lacune istituzionali con provvedimenti tampone e deve ricercare, da un lato, l’indispensabile accordo mondiale per non dover affrontare l’accentuarsi della guerra delle monete, in particolare nel duello dollaro-yuan; dall’altro, i capi di Stato e di governo si devono riunire in sessione straordinaria fino al raggiungimento di un accordo che dia sostanza pratica e credibile al disegno che essi hanno approvato in sede di G20, G7 e Imf di “una crescita duratura ed equa in un contesto di stabilità finanziaria”. È il caso di dirlo chiaramente: ancora non ci siamo e il mercato fiuta l’incompletezza e la speculazione ne approfitta per fare lauti guadagni.
Veniamo all’Italia. Il problema del nostro Paese è duplice: un disavanzo di bilancio pubblico che supera largamente i parametri di Maastricht e uno stock di debito pubblico che pesa come un macigno sul nostro futuro, oltre che sul nostro presente. Se questo stato di cose si intende sanare con l’aumento delle tasse o il taglio delle spese indiscriminato, si avrebbe una caduta del saggio di sviluppo e, quindi, un peggioramento delle due condizioni di finanza pubblica. La politica economica per il 2011-13 prevede un miglioramento del saggio di sviluppo che, consentendo un maggior gettito fiscale, riporti il deficit del bilancio pubblico entro i margini previsti dai parametri di Maastricht. Noi ci auguriamo che così accada, anche se il quadro internazionale e interno lascia adito a dubbi sull’uscita dell’Italia dalla recessione e il ritorno a un tasso di crescita del 3% che garantisca la difesa dell’occupazione. Resta comunque il problema dei problemi: il peso del debito pubblico. Come tale, il vero argine alla speculazione sarebbe l’effettuazione di un’operazione di finanza straordinaria che ceda patrimonio pubblico in contropartita di debito statale in circolazione. Resto dell’avviso che può essere fatta un’operazione nell’ordine dei 400 mld di euro che ridurrebbe di oltre il 20% il peso del debito in essere, allineandolo a quello potenziale di altri importanti Paesi europei. Si avrebbe così un’equivalente riduzione dell’onere annuale del debito, con un rientro conseguente dal deficit pubblico senza dover ricorrere a una manovra deflazionistica; essa invece ci verrebbe certamente richiesta, come accaduto ad altri Paesi, qualora avessimo necessità di ricorrere alla protezione europea contro attacchi speculativi.
Europa ancora non ci siamo
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