Strana coppia.Incontro con i giornalisti alla Casa Bianca, come ai vecchi tempi.Parla di tutto, da Haiti al trattato Start per il disarmo nucleare.Appoggio al pacchetto economico del presidente: «Vantaggioso per gli americani»
Pomeriggio sonnolento nella dimora di Barack Obama. E’ venerdì e la Casa Bianca è desolatamente vuota: il personale è quasi tutto a un party prenatalizio. In sala stampa i giornalisti di turno sono annoiati, distratti: c’ è Bill Clinton in visita dal presidente, ma il portavoce Robert Gibbs ha già detto che il colloquio ha carattere riservato, i due non faranno commenti. Dopo una conversazione di novanta minuti, però, Barack e Bill ci ripensano: attraversano i corridoi deserti e arrivano fino all’ auditorium della stampa. Dove trovano la porta sprangata. Ci vuole un po’ per rintracciare Gibbs che, colto di sorpresa, ha bisogno di tempo per rimettere la macchina in moto: chiavi, luci, impianti audio, telecamere. Qualche minuto e il curioso, inedito spettacolo, può andare in scena: Obama, che sta cercando di convincere i democratici in rivolta a votare il compromesso che ha raggiunto coi repubblicani sulla proroga degli sgravi fiscali di Bush (anche per i ricchi) e su altre misure come il rinnovo dell’ assistenza ai disoccupati di lungo periodo, esibisce il «trofeo» del consenso di Clinton alla sua ricetta. Ma all’ ex presidente non si può chiedere una semplice «comparsata». E se Barack ha fama di grande comunicatore, Bill è sempre stato il «grande sintetizzatore», capace di spiegare cose complesse con parole semplici, mettendoci dentro anche quel calore umano che spesso manca all’ attuale inquilino della Casa Bianca. E’ così anche stavolta e dopo un po’ il presidente capisce che è meglio lasciare tutto il palcoscenico all’ ex nemico, ora venuto in suo soccorso: «Bill, c’ è la “first lady” che mi sta aspettando da mezz’ ora». «Non voglio che si arrabbi. Vai pure». Barack saluta e lascia il podio con il sigillo presidenziale all’ ex che proprio per colpa sua non è riuscito a tornare a vivere in quell’ edificio, sia pure da «first spouse» della presidentessa Hillary. E lo spettacolo può iniziare: Bill è a suo agio, risponde a un’ infinità di domande, fa sfoggio di cultura economica, materia che – dice – studia per un’ ora ogni giorno. Non si limita ad appoggiare il pacchetto di Obama, ma spiega dettagliatamente perché le misure in esso contenute, anche se non tutte eque, sono complessivamente vantaggiose per gli americani e per un’ economia che altrimenti rischia di tornare in recessione. I giornalisti, rientrati precipitosamente in sala stampa, sono affascinati da questo strano «revival». Lui, raggiante, dà la parola a tutti, chiamando i cronisti col loro nome di battesimo, come se avesse spento la sera prima i microfoni della sua ultima conferenza stampa. Parla di tutto, da Haiti al trattato Start per il disarmo nucleare. Risponde a 12 domande, più di quelle che vengono normalmente accettate da Obama e chiude solo quando nota i primi segni di nervosismo di Gibbs. Ma ha tutto il tempo di fare una disquisizione sul funzionamento dei mercati creditizi internazionali, di spiegare che anche a Hong Kong hanno usato una riduzione della tassa sulle buste paga come quella prevista dal compromesso Obama-repubblicani per stimolare l’ economia e di citare un articolo di Charles Krauthammer – una voce di destra tagliente, fuori dagli schemi – nella pagina degli editoriali del Washington Post, per dimostrare che nel compromesso anche i repubblicani hanno concesso molto. I democratici detestano Krauthammer e sono convinti che Obama avrebbe dovuto negoziare con più durezza: il «muro contro muro», dicono, avrebbe messo in difficoltà soprattutto una destra che, nel bel mezzo di una grave crisi e col debito pubblico che esplode, continua a proteggere soprattutto i ricchi. Ma Clinton, sornione, definisce il «columnist» radicale «un uomo brillante» è spiega ai suoi compagni di partito che questo non è il momento di fare «politiche da macho»: con un’ economia forte, in piena espansione, si sarebbe anche potuto tentare, ma nella crisi attuale sarebbe da irresponsabili alimentare uno scontro che rischierebbe di togliere carburante all’ economia con un aumento immediato e generalizzato del prelievo fiscale. E il sospetto della sinistra che Obama la stia semplicemente scaricando per spostarsi al centro dopo la sconfitta elettorale del 2 novembre? Non si sta ispirando proprio al Clinton di 16 anni fa che, battuto al voto di «mid term» del ‘ 94, costruì il suo recupero e la rielezione alla casa Bianca di due anni dopo proprio con una serie di concessione ai conservatori? «Ma no – scivola via il grande persuasore – il paragone tra le due situazioni non tiene: allora l’ economia era fortissima, in piena crescita e i repubblicani furono durissimi. Giunsero addirittura a far calare per due volte la saracinesca sulle attività del governo, a bloccare tutto. Oggi non si arriverà a tanto. Anche i conservatori sanno che le conseguenze sarebbero devastanti».
Bill Clinton toglie la scena a Obama (e lo aiuta).
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