Il Consiglio europeo rischia ancora una volta di rispondere troppo timidamente alla crisi dell’euro, con “una modifica limitata” al testo del Trattato. Il compromesso sul tavolo recita che «i paesi che condividono l’euro possono creare un meccanismo di stabilità al fine di mettere al sicuro la stabilità dell’euroarea nel suo insieme».
Si tratta di un linguaggio tutt’altro che casuale per chi segue il dibattito giuridico in Germania, ma poco rassicurante per i mercati. Verranno aumentate le risorse finanziarie del “meccanismo comune”, ma rispetto alla rapidità dei mercati finanziari e alla profondità dell’attacco, viene naturale criticare la viscosità delle decisioni e in particolare le resistenze del governo tedesco. Per evitare che l’incertezza si autoalimenti – per esempio con una fuga di depositanti dai paesi critici – fino a diventare incontrollabile, è indispensabile capire se alla fine di questo procedere per piccole variazioni dettato da Berlino vi sia una reale determinazione a salvare l’euro.
Negli anni Ottanta un economista di Chicago introdusse una distinzione tra rischio e incertezza che non è mai realmente filtrata nel linguaggio politico. A differenza del rischio l’incertezza non è misurabile ed è quindi difficile assicurarsi contro di essa. Il lento passo dei paesi dell’euro nel contrastare i problemi della moneta comune tende a contenere i rischi che si presentano volta per volta, ma accresce l’incertezza sul disegno complessivo. Le recenti iniziative – dagli eurobond (Juncker-Tremonti) alle aperture all’unione politica (Schäuble) – che “assicurano” la volontà politica dei governi a salvare la moneta comune e non solo ad arginare singoli casi di crisi non sono dunque un contorno retorico agli aiuti materiali, ma una componente essenziale per il futuro dell’euro.
Tre sono gli elementi del discorso pubblico che possono condizionare le scelte tedesche: i timori dei cittadini di essere chiamati a finanziare i debiti altrui; il gioco politico tra i partiti in cui una politica di scarso rispetto degli interessi nazionali rischia di essere punita.
Infine il ruolo dei media che cavalcano con toni estremisti gli interessi materiali facendoli diventare ideologia populista. L’opinione pubblica sembra aver compreso meglio dei media la posta in gioco: se ancora nel 2008 il 58% dei tedeschi preferiva tornare al marco, nel 2010 la percentuale era scesa al 47% per toccare il 31% nei giovani sotto i 30 anni. Due terzi dei tedeschi sono contrari ai salvataggi con denaro pubblico, ma è la stessa percentuale che si esprime anche contro i salvataggi di imprese tedesche. Tra i partiti esistono fibrillazioni e soprattutto una lotta sotterranea per la successione al ministro delle Finanze e alla cancelliera, ma i consensi per i partiti europeisti sono aumentati, non calati, nel 2010. E l’opposizione sfida il governo da posizioni più europeiste non più nazionaliste. Nel complesso nessuno dei tre elementi (consenso, partiti, media) è di vero ostacolo alle scelte europeiste di Berlino.
Diverso è il condizionamento sul governo della Corte costituzionale di Karlsruhe in materia europea. Fino agli anni Novanta, la Corte suprema era l’unica istituzione più credibile della Bundesbank agli occhi dell’opinione pubblica tedesca e la sua funzione di garanzia è ancor più cruciale oggi. La Corte può offrire un espediente tattico per la cancelliera che si presenta al tavolo europeo negando i margini negoziali con la motivazione che i giudici li boccerebbero, ma la sua influenza è più profonda e sostanziale.
La spiegazione del ritardo con cui Merkel ha accettato nella primavera scorsa di soccorrere la Grecia è nella necessità di dimostrare alla Corte che i due principi chiave per l’adesione della Germania a Maastricht (rigore finanziario e solidità dell’euro) imponevano l’intervento. Non si trattava cioè di trarre d’impiccio i greci, ma di salvare la moneta tedesca e per dimostrarlo era necessario giungere fino alla soglia del collasso dell’euro (inizio maggio). Inoltre era necessario imporre condizioni di rigore fiscale che pure sarebbero pesate sul risanamento (tassi d’interesse non di mercato, ma punitivi) e che sono ora applicate anche all’Irlanda. Il paradosso è che tanto più le condizioni per il salvataggio sono ritardate e punitive e tanto meno sono risolutive. Così mese dopo mese diventano necessarie misure sempre nuove – il lento procedere – che dilatano finché possibile i margini di interpretazione concessi dalla Corte.
Il riferimento del testo discusso oggi alla necessità di «mettere al sicuro la stabilità dell’euroarea nel suo insieme» riflette l’interpretazione di Karlsruhe (non si possono salvare paesi terzi, ma si deve salvare l’euro). Allo stesso modo il verbo «possono» (anziché “devono”) sottolinea la volontarietà dell’intervento, l’unico modo per aggirare il divieto di salvataggio dell’articolo 125 del Trattato. Il 7 maggio la Corte ha respinto l’apertura di un procedimento contro il salvataggio greco con la motivazione interlocutoria che il costo di negare gli aiuti sarebbe stato troppo alto per la comunità, e ciò sottintende che un governo tedesco non può lasciare fallire l’euro.
I giudici sembrano invece orientati a non interpretare l’articolo 122 che prevede aiuti tra paesi dell’euro solo in condizioni eccezionali ed estranee alla volontà del paese colpito, qualifiche troppo generiche e che quindi implicano una valutazione politica. Anche l’acquisto di titoli sovrani dei paesi in difficoltà da parte della Bce non può essere contestato dalla Corte tedesca perché la Bce opera con acquisti sul mercato secondario e quindi formalmente non viola l’articolo 123 che esclude il finanziamento “diretto” dei debiti pubblici.
Diverso sarebbe il discorso per la sottoscrizione di titoli pubblici da parte dell’Efsf (il fondo che fino al 2013 può erogare aiuti ai paesi in crisi) a cui infatti il governo tedesco si oppone. Di fatto ci sono limiti anche a quanto la Corte può decidere oltre i quali solo la politica può intervenire e il segnale europeista dato ieri dall’Spd alla Merkel va in questa direzione. Sulla base dei Trattati esistenti non restano infatti molti altri margini, salvo un aumento delle dotazioni dell’Efsf e una loro attivazione ogni volta che l’euro risulta a rischio.
Per procedere oltre, senza ballare costantemente sull’orlo del precipizio, è necessario modificare i Trattati ed è proprio la Corte di Karlsruhe ad averlo sottolineato – con scetticismo – nel 2009 ponendo il problema del deficit di democrazia europeo. Se non ci saranno incidenti – e nessuno può escluderlo proprio perché l’incertezza è più pericolosa del rischio – l’Europa potrebbe uscire davvero trasformata da questa crisi.
Tra Ue e Germania i dubbi della signora Merkel, oggi il Consiglio europeo (con un rischio)
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