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Gli sgravi di Bush aiutano Obama

Alla fine Obama l’ ha spuntata: il compromesso sulla proroga degli sgravi fiscali dell’ era Bush raggiunto pochi giorni fa coi repubblicani e che i democratici, furibondi, avevano cercato più volte di far saltare, è stato approvato definitivamente dal Congresso. Passato con una maggioranza schiacciante al Senato, il provvedimento – che conferma per altri due anni le aliquote fiscali ridotte a favore del ceto medio ma anche dei ricchi, proroga per 13 mesi l’ assistenza ai disoccupati di lungo periodo e abbassa i contributi a carico del datore di lavoro per ogni dipendente occupato – è stato votato giovedì notte dalla Camera dopo una discussione di poche ore. Miracoli delle vacanze natalizie che nessuno voleva far saltare. Maggioranza ampia anche qui – 277 sì, 148 no – ma coi repubblicani compatti a sostegno dell’ accordo con la Casa Bianca, mentre i democratici si sono spaccati: nel partito del presidente i voti contrari sono stati 112, quelli favorevoli 139. Una ferita che resterà nei rapporti tra Barack e la sua base – ieri i leader democratici di Camera e Senato, Pelosi e Reid, hanno disertato la cerimonia della firma presidenziale della legge, mentre c’ era il capo dei senatori repubblicani – che lo accusa di aver ceduto a un ricatto dei repubblicani e sospetta anche qualcosa di peggio: una manovra del presidente per sganciare il suo destino politico da quello dei democratici e per andare ad occupare una posizione più centrale in modo da tagliare la strada a Michael Bloomberg o a chiunque altro fosse tentato di inserirsi come candidato indipendente alle presidenziali tra un Obama indebolito e un partito repubblicano sempre disorientato, nonostante la sorprendente resurrezione al voto di «mid term», grazie alla spinta dei «Tea Party». Che, insieme alla sinistra radicale, sono i veri sconfitti dell’ accordo sulle tasse: non volevano intese «bipartisan» e considerano la legge varata ieri disastrosa per le finanze federali. I capi conservatori hanno fatto un ragionamento diverso: non vogliono lasciare spazi di manovra al presidente e sono consapevoli che, mentre parlano di rigore fiscale, hanno appena approvato una misura che fa crescere il debito federale di altri 850 miliardi di dollari al debito federale. Ma non volevano passare per una forza irresponsabile che strangola l’ economia e fa aumentare le tasse di tutti gli americani solo per mettere alle corde Obama. Che già ieri, incontrando tutti i principali leader sindacali nazionali, ha avviato una strategia di «riduzione del danno» che la legge sulle tasse gli sta producendo a sinistra. Nei prossimi mesi, poi, il presidente tenterà, con le dovute cautele, di verificare se la collaborazione «bipartisan» coi repubblicani è stata un fatto episodico o se la Casa Bianca, alle prese con un Congresso ormai controllato per metà dai conservatori, può assestarsi su una linea neocentrista. Che, secondo alcuni analisti politici potrebbe far riconquistare al presidente parte dei consenti persi negli ultimi mesi, soprattutto quello degli indipendenti. Per ora, però, i sondaggi dicono che, nella migliore delle ipotesi, il presidente con la legge sulle tasse è riuscito a frenare la sua caduta di popolarità: l’ ultimo «poll» della rete televisiva conservatrice Fox gli attribuisce un nuovo record negativo mentre per il sondaggio Nbc-Wall Street Journal la popolarità di Obama è a quota 45%, stabile ai minimi. Poteva andare anche peggio, viste tutte le tegole che gli sono cadute in testa in questo difficilissimo autunno.

Fonte: Corriere della Sera del 18 dicembre 2010

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