• sabato , 23 Novembre 2024

Il Senato Usa approva il nuovo trattato Start

Salutiamo il voto del Senato Usa. Segue l’ intesa tra i due presidenti per uno sviluppo dinamico delle nostre relazioni Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo Consenso bipartisan sull’ accordo nucleare. Obama: «Un potente segnale al mondo» Il testo Il trattato Start 2 prevede di ridurre di un terzo gli arsenali nucleari di Russia e Stati Uniti La trattativa Per superare l’ ostilità dei repubblicani Obama ha dato garanzie sui sistemi Usa di difesa anti-missile.
Michelle e le figlie Sasha e Malia sono alle Hawaii già da quasi una settimana.Barack Obama, invece, ha dovuto rinviare le vacanze di Natale per seguire da vicino le ultime decisioni parlamentari dell’ anno. Ne è valsa la pena: in pochi giorni un presidente che un mese fa era ridotto alle corde, ha condotto in porto il compromesso coi repubblicani su tasse e sussidi di disoccupazione («il momento più acuto della crisi è passato – ha dichiarato ieri – ora è necessario risanare i conti riducendo il deficit e il debito, tagliare il tasso di disoccupazione e far sì che gli Usa restino competitivi a livello mondiale»), ha ottenuto il via libera alle nuove norme – osteggiate dai conservatori – che consentono ai militari gay di dichiarare liberamente il loro orientamento sessuale e ieri sera è arrivato il risultato più ambito: la ratifica del trattato Start 2 per il disarmo nucleare. Dopo qualche ora supplementare di suspense – in realtà servita al leader democratico John Kerry per negoziare un emendamento al preambolo (separato dal trattato) capace di allargare la base bipartisan dell’ accordo – il protocollo è stato votato da 71 senatori su 100: ben oltre la maggioranza dei due terzi richiesta per la ratifica di trattati. Un atto che doveva essere di ordinaria amministrazione è così diventato, invece, una grande vittoria di Obama, dopo che un’ improvvisa ondata di ostilità manifestatasi in campo repubblicano aveva fatto temere il peggio. «Il voto ha mandato un potente segnale al mondo che repubblicani e democratici sono sulla stessa linea in fatto di sicurezza» ha detto il presidente. L’ accordo, siglato nell’ aprile scorso da Obama e dal presidente russo Dmitri Medvedev, oltre ad avere un suo valore strategico (arsenali ridotti di un terzo: 1.550 testate atomiche e 700 rampe di lancio per ognuno dei due Paesi, più la ripresa delle ispezioni reciproche), è il risultato più significativo della nuova stagione di dialogo Usa-Russia inaugurata dalla presidenza Obama dopo il gelo dell’ ultimo Bush. Significativa ma certamente non rivoluzionaria, l’ intesa sancita dal trattato avrebbe dovuto ottenere facilmente il via libera del Senato, anche perché finora i conflitti tra democratici e repubblicani avevano risparmiato la politica estera, la sicurezza e le scelte relative all’ apparato militare: aree nelle quali erano sempre stati cercati accordi bipartisan per non indebolire con guerre intestine la posizione americana nel mondo. La ratifica del Senato doveva filare via liscia: al massimo si prevedeva un tratto di strada un po’ accidentato. All’ improvviso, però, dopo l’ estate, gli avvallamenti erano diventati una montagna da scalare. Spuntata dal nulla, l’ ostilità di molti repubblicani si era trasformata in un macigno che Obama aveva cercato di rimuovere garantendo che il trattato non limiterà il diritto degli Stati Uniti di dotarsi di sistemi di difesa anti-missile e ottenendo che i nomi più autorevoli della politica estera Usa di area conservatrice – da Henry Kissinger a Brent Scowcroft, da Colin Powell a Condoleezza Rice – lanciassero un appello per la ratifica dello Start. È servito a poco: anzi le prese di distanza si sono moltiplicate. Prima quelle di potenziali candidati alla Casa Bianca vicini all’ area dei «Tea Party» come Sarah Palin, Mitt Romney e John Thune, «emergente» del South Dakota. Quando a dichiarare la loro opposizione erano stati addirittura il capo dei senatori repubblicani Mitch McConnell (che, peraltro, era stato l’ artefice del compromesso con la Casa Bianca sulle tasse) e il suo vice John Kyl, i negoziatori democratici avevano cominciato a perdere le speranze. Un rinvio avrebbe avuto conseguenze gravi perché nel nuovo Congresso che si insedierà a gennaio sarà molto più fitta la pattuglia dei senatori della destra radicale, ostile al trattato. Un’ intesa che, al di là delle armi strategiche, ha consentito a Obama di stabilire con Medvedev un dialogo che ha già prodotto risultati importanti per gli Usa e la comunità occidentale, come l’ aiuto di Mosca per l’ Afghanistan e un suo impegno finalmente efficace nell’ applicazione delle sanzioni all’ Iran. Alcuni senatori repubblicani, però, sono sempre rimasti convinti che non ratificare il trattato sarebbe stato un grave errore per gli Stati Uniti e per lo stesso schieramento conservatore che avrebbe perso credibilità sotto l’ accusa di fare giochi politici di corridoio anche sulle grandi questioni strategiche. Le prime proposte di emendamento di John McCain (la questione delle difese antimissile chiarita meglio nel preambolo) avevano fatto capire che i «pontieri» erano al lavoro. I russi hanno fatto la loro parte precisando di non considerare una correzione del preambolo un «vulnus» del trattato. Poi è toccato ai capi militari scendere in campo compatti per chiedere la ratifica. Proprio la determinazione dei generali dell’ esercito ha convinto diversi repubblicani titubanti. Alla Casa Bianca c’ è soddisfazione per questo indubbio successo d’ immagine: esattamente quello che i repubblicani, decisi a detronizzarlo tra due anni, non volevano concedere a Obama. Ma nessuno, nel suo team, si lascia andare al trionfalismo: c’ è consapevolezza che, se è stato così difficile ottenere il via libera a un trattato mai seriamente contestato nel merito, quella di siglare e far ratificare altri accordi strategici oggi in discussione sia in campo nucleare che in quello delle armi convenzionali, rischia di rivelarsi un’ impresa proibitiva. Una strada sempre più difficile da percorrere, man mano che si avvicina la scadenza delle presidenziali del 2012.

Fonte: Corriere della Sera del 23 dicembre 2010

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