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Speculatori, Churchill e debito sovrano

Il Congresso deve agire rapidamente e approvare l’ aumento del tetto del debito, altrimenti il rischio è il default Timothy Geithner, segretario al Tesoro Usa Dal salvataggio delle banche al tetto di Geithner sul deficit Tremonti, l’ America e i nuovi mostri sui mercati.
Sono mesi, dall’ assemblea del Fondo Monetario di Washington, che Giulio Tremonti batte sulla questione del salvataggio delle banche americane ed europee. Quell’ operazione ha drenato troppe risorse pubbliche ed è stata condotta in modo da aiutare anche gli speculatori, tornati così in gran forma e pronti a colpire (allora parlò di «ritorno dei bankers», di nuovo arroganti nello sfarzo delle loro feste). La metafora dei mostri dei «videogame» per descrivere una crisi senza fine nella quale appena battuto un avversario ne spunta subito un altro più insidioso, è un «evergreen» dell’ oratoria tremontiana fin dal novembre del 2008, poche settimane dopo il crollo di Wall Street e la “gelata” del credito che fece precipitare tutto l’ Occidente in una crisi della quale non si vede ancora la fine. Si potrebbe essere, quindi, tentati di considerare la sortita di ieri del ministro dell’ Economia a Parigi come la riproposizione dei suoi strumenti retorici preferiti, magari a uso politico interno. Basta dare un’ occhiata a quello che è accaduto negli ultimi mesi in Europa e ascoltare le parole del ministro americano Tim Geithner, che ieri ha parlato per la prima volta di rischio di «default» del debito pubblico Usa se il Congresso non autorizzerà l’ aumento del tetto dell’ indebitamento federale, per capire che non è così. Tremonti non è certo un «fan» del segretario al Tesoro di Barack Obama: non fa mistero di considerare la crisi nella quale siamo precipitati frutto, in gran parte, dell’ insipienza americana che da un lato – nella lettura del ministro italiano dal passato socialista – ha imboccato senza alcuna cautela la strada di una globalizzazione troppo accelerata, dall’ altro ha consentito a Wall Street di finanziarizzare gran parte dell’ economia ricorrendo, per di più, in modo massiccio a strumenti speculativi molto rischiosi. E Geithner, l’ ultimo esponente della squadra economica di Obama insediatasi dopo la vittoria del 2008, è considerato l’ uomo che a Washington garantisce le banche e i mercati finanziari. Ma proprio il fatto che due uomini con punti di vista così diversi formulino analisi tanto allarmate deve far riflettere. Certo, in tutti e due i casi le sortite possono avere anche una motivazione politica: Geithner parla alla nuova Camera a maggioranza repubblicana tentata di assumere atteggiamenti radicali per abbattere Obama e la avverte che, se farà mosse dirompenti in una situazione economica così delicata, il prezzo più caro non lo pagherà il presidente ma l’ intero Paese. Tremonti con le sue parole, più che mettere in luce una differenza d’ analisi da Berlusconi (la sua visione è certamente diversa da quella più ottimista del premier, ma il ministro lo aiuta quando sottolinea che l’ Italia sta pagando una crisi della quale non ha responsabilità), tiene sotto pressione i suoi colleghi di governo ai quali non può concedere nulla dal lato della spesa. Di chi è la colpa di questa crisi spaventosa che si prolunga e presenta nuove insidie? Il ministro dell’ Economia addita i mostri della speculazione e chiaramente pensa alle grandi banche e finanziarie, soprattutto americane, che periodicamente scatenano attacchi alle valute, mettendo sotto pressione l’ euro e il debito pubblico dei Paesi più vulnerabili del Vecchio Continente. Ma la crisi negli ultimi tempi ha cambiato aspetto e nel «videogame» si è affacciato un mostro assai più minaccioso e resistente degli altri, quello del debito sovrano. Tremonti evoca Churchill per invocare un riscatto di un’ Europa finalmente più compatta e ripropone la sua idea degli «eurobond» come strumento di solidarietà e di rilancio delle economie che non possono più essere sostenute ingigantendo ulteriormente i debiti nazionali. Ma altre volte Tremonti ha attinto al Churchill che, riflettendo sulle guerre mondiali del Ventesimo secolo, si chiede se non siano state due episodi, intervallati da un lungo armistizio, di un unico grande conflitto. E allora, ecco che quella attuale non è una nuova crisi provocata dall’ eccesso di spesa, ma la continuazione di quella esplosa nel 2008. Allora il collasso del debito privato fu tamponato con le nazionalizzazioni o con enormi iniezioni di denaro pubblico. Due anni fa era diffusa la convinzione che gli Stati sovrani avessero le spalle abbastanza robuste per venire a capo di qualunque crisi, sia pure con costi elevati. Negli ultimi mesi abbiamo scoperto che non è così e oggi Tremonti lamenta che i governi che si sono svenati per salvare la finanza, ora non hanno più risorse da spendere per sostenere l’ economia reale. Nella sua analisi critica della condotta americana, Tremonti non fa differenze tra destra e sinistra: boccia la finanziarizzazione accelerata dell’ era Bush, come la globalizzazione «a trazione integrale» di Bill Clinton, come i salvataggi avviati dalla Casa Bianca repubblicana e condotti a termine da Obama. Il punto di vista Usa è diverso: non si poteva non salvare le banche che sono il sistema cardiocircolatorio dell’ economia e non era possibile isolare le attività speculative che sono un modo di operare della finanza in certe circostanze, non una struttura istituzionale. Tremonti usa l’ immagine dei mostri soprattutto per aprire gli occhi a chi pensa di essersi già gettato la crisi alle spalle, ma si ferma prima di porre alcune domande cruciali: quanti livelli, quanti mostri ci sono nel videogame dell’ economia? Quante vite abbiamo a disposizione? E, soprattutto, il videogioco è davvero uno solo? O l’ America, che ristruttura il suo sistema produttivo, che accetta più apertamente la sfida dell’ Asia e che, a differenza dell’ Europa, ha uno strumento (la stampa senza limiti di dollari) per contenere la sua crisi fiscale, può giocare una partita diversa?

Fonte: Corriere della Sera del 7 gennaio 2011

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