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Usa-Cina un vertice per “cambiare clima”

Hu Jintao da Obama: grande enfasi sui «comuni interessi» ma agenda limitata.
La visita Il presidente della Repubblica popolare, ormai a fine mandato,può offrire poco.
Dopo i giorni delle barricate dialettiche i ministri di Obama che hanno preparato il summit Usa-Cina lamentando i (presunti) torti subiti nel 2010 e allineando richieste a raffica, Hu Jintao che ha replicato rivendicando con orgoglio l’ascesa della nuova potenza asiatica, respingendo le richieste di rivalutazione dello yuan e liquidando i sistema valutario basato sul dollaro come roba del passato— è arrivato il momento delle strette di mano e dei sorrisi. Il presidente cinese, appena atterrato a Washington, è stato ricevuto con calore alla Casa Bianca da Barack Obama per una cena «intima» alla quale hanno partecipato, da parte americana, solo il segretario di Stato Hillary Clinton e il capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale, Tom Donilon. Se i problemi sono ormai troppo vasti e complessi per essere risolti da un vertice— sia pure il più importante summit della presidenza Obama — Stati Uniti e Cina hanno ormai responsabilità talmente vaste davanti al mondo che non possono non mostrare un buon livello di comprensione reciproca e la volontà di cooperare. Per questo Obama, pur reduce da un 2010 caratterizzato da tensioni crescenti tra i due Paesi sul piano diplomatico e commerciale, ha deciso di concedere l’onore della cena di Stato — quella che si svolgerà stasera alla Casa Bianca—alla quale i cinesi, nel loro formalismo, tengono molto. Un onore che era stato negato cinque anni fa da George Bush a Hu, durante la sua precedente visita. Allora non solo il presidente cinese era stato liquidato con una colazione di lavoro, ma la visita era stata costellata da diversi incidenti e gaffe di protocollo, dall’irruzione di una manifestante del Falun Gong (un movimento religioso perseguitato in Cina) durante la conferenza stampa congiunta dei due leader, all’uso, presentando Hu durante una cerimonia, dell’espressione «presidente della Repubblica cinese »: la denominazione ufficiale di Taiwan, mentre quella di Pechino è Repubblica popolare cinese. Allora Hu inghiottì il rospo.
Ma la Cina del 2010 è un Paese molto più forte, orgoglioso, sicuramente non più umile. È anche diventato il principale creditore del Tesoro americano, mentre il Paese ancora non si è ripreso dalla crisi. Obama ne è consapevole e cerca di compensare le sue debolezze economiche elevando il profilo politico della visita: metterà Pechino davanti alle sue responsabilità, soprattutto sull’Iran e per la mancata condanna delle aggressioni della Corea del Nord a Seul, e porrà con forza la questione dei diritti umani violati. Questioni che, quando sollevate, portano sempre Pechino a reagire con asprezza, ma che rivelano anche un suo fianco scoperto. Obama, però, ha anche bisogno di individuare un terreno di cooperazione e di dialogo, e quindi cerca di «sedurre» un interlocutore che ormai conosce molto bene e col quale ha rapporti personali cordiali — è l’ottava volta che si incontrano tra vertici internazionali, colloqui all’Onu e la visita del presidente americano a Pechino di fine 2009 — con un doppio ricevimento alla Casa Bianca: quello più riservato, confidenziale, di ieri sera e la cena di Stato di oggi, la prima in onore di un leader cinese negli ultimi 13 anni. Con quali prospettive? Non molte a sentire gli analisti (anche perché Hu è a fine mandato e può offrire poco), se non un rasserenamento del clima fra i due Paesi e l’annuncio di qualche buon affare: sulla questione dello yuan non sono prevedibili mutamenti di rotta di Pechino che vadano oltre l’attuale, lentissima rivalutazione (3,6 per cento in due anni). Qualche cosa di più il presidente spera per la penetrazione delle imprese Usa nel mercato cinese. Anche qui Hu non dovrebbe concedere molto ma, sapendo che Obama ha soprattutto il problema interno di rilanciare l’occupazione, insisterà sugli acquisti di merci Usa (aerei, prodotti agricoli, carne), sulle joint venture e sugli investimenti cinesi negli Usa (energie alternative) che creeranno posti di lavoro negli Stati Uniti.

Fonte: Corriere della Sera del 19 gennaio 2011

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