Un paese in piazza per avere un governo dopo 225 giorni. Ora nulla potrà essere più come prima…
Due occhi di fuoco che illuminano una faccia da sbarbatello, magro, biondo, giovanissimo, determinato. La candida rosa infilata nella fascia bianca stretta al braccio, un brandello di una vecchia t-shirt, segnala che Thomas Royberghs è una delle menti della manifestazione che potrebbe cambiare la storia del Belgio. «Deve essere un nuovo inizio», afferma il ragazzo mentre sale sul basso palco davanti al quale si accalca una folla festante. Il pavé sotto larco del Cinquantenario trabocca di gente, altra ne sta arrivando, sono 34 mila secondo la polizia, ma locchio potrebbe credere a cifre più grandi. Sventolano i tricolori senza requie. «Chiediamo che la politica faccia il suo mestiere – riesce a dire Royberghs -.Vogliamo un governo,lo vogliamo subito!»
Adesso nulla potrà più essere come prima. Nel regno di Alberto II sè votato il 13 giugno e da allora il parlamento non è riuscito a esprimere un esecutivo. Per i giornali è diventata la «Saga Belgica», 225 giorni di negoziati privi di sbocco per uno dei paesi più complessi dEuropa. Lo animano due popoli che convivono a fatica, i valloni e fiamminghi, uniti da una struttura fortemente federale e divisi sul resto, tanto che qui tutto è doppio, dalle lingue ai partiti, dalla croce rossa alla federazione degli sport motoristici. Le urne hanno premiato gli indipendentisti delle Fiandre e i socialisti francofoni. Il re Alberto II ha mediato abilmente. I leader hanno litigato su ogni cosa mentre Yves Leterme, dc neerlandofono, batteva il record europeo di durata come premier ad interim.
Fallita ai primi di gennaio lultima mediazione del conciliatore Johan Vande Lanotte, progressista fiammingo, i belgi si sono accorti di non poterne più dei balletti inutili, delle beghe sul distretto elettorale Bruxelles-Halle-Vilvoorde (in terra di Fiandra e a maggioranza francofona), dei capricci di Bart de Wever, il più gettonato nella consultazione, leader del populista N-Va, il movimento che vorrebbe «levaporazione del Belgio». «Il mondo gira così in fretta che si surriscalda – commenta Royberghs -. Noi non possiamo permetterci di rimanere fermi».
Per questo ha pensato a «Shame» e alla «marcia della vergogna». Con quattro amici ventenni, in due settimane hanno costruito il corteo che ha animato la domenica bruxellese. Riconoscono che senza internet non ce lavrebbero fatta, però il messaggio interessa più del media. «Gentili signori deputati – manda a dire Simon Vandereecken, 23 anni, capelli sugli occhi e viso tondo -, il vostro mestiere è dialogare e fare dei compromessi, non siete cantanti pagati per apparire in tv. Andate a lavorare…»
Hanno usato con abilità i network sociali, Facebook e Twitter, sinché londa sè gonfiata a dismisura e anche i giornali tradizionali hanno cominciato a cavalcarla. Quando laria diventa stantia basta un rivolo fresco a ridare la speranza. Così ieri alluna, sotto il cielo grigio della capitale, con una temperatura sopra lo zero e la pioggia decisa a concedere una tregua, si è ritrovato il popolo nel «no» allimpasse politico, una marea bipartisan che invocava soluzioni per il futuro. Si aspettavano 15 mila persone, sono state più del doppio. Grandi e piccini, singles e famiglie scesi in piazza per il Belgio con la voglia di dare la scossa ai partiti, ai cui leader è stato chiesto di stare alla larga dal Parco del Cinquantenario, cosa che hanno fatto.
«Li ho votati quei bastardi, e loro se ne fregano», protesta Francoise, operaio, pure lui giovanissimo, appollaiato sulla ringhiera che delimita in modo approssimativo la zona del palco. Quando Royberghs prende la parola, sulla lunga Rue de la Loi, la via su cui affacciano i palazzi delle istituzioni Ue, sfilano ancora persone che non arriveranno ad ascoltarlo. Cè il buon umore delle grandi occasioni (sei arresti per provocazione), i cartelli magrittiani (Questo non è uno slogan), quelli irridenti («Birra, frites e governo») e quelli che inneggiano allunità del paese («Un vallone più un fiammingo uguale due belgi»).
La marcia della vergogna assume anche questo significato, svela il ritorno dellorgoglio, dà una frustata a chi vuole spaccare il paese. «Sono qui per i giovani – dice un tipo anziano, un docente di economia, vallone -. Lunità è il modo per difendere i nostri valori in seno allEuropa dalloffensiva globale». Cosè cambiato, professore? «Nessuno accetta più compromessi, nessuno difende il bene comune», risponde. Dietro, un gruppo di ragazzini canta la Brabançonne, linno che il premier ha dimostrato di non conoscere. Prima strofa perfetta, per le altre salta fuori un foglietto. «Cè più gente che al gay pride», scherza un tipo vestito da guerriero gallo. «Il Belgio è una chance da non sprecare», garantisce un uomo di colore, rappresentante di «Coscienza africana», memoria del tempo coloniale.
Vibrano al vento i drappi rosso, giallo e nero, sulle teste dei manifestanti e nelle mani di chi si è arrampicato sui vecchi monumenti del complesso costruito per celebrare i cinquantanni dellindipendenza del paese. Un lenzuolo recita «Wereldkampioen», campione del mondo, con riferimento al primato per la nazione più a lungo senza governo, attualmente detenuto dallIraq. Fra 64 giorni il record sarà del Belgio, terra dove si condensano i cancri dellEuropa, nazionalismo, rifiuto della politica, crisi del debito pubblico (è il terzo dellUe, al 100% del pil).
I cinque dello «Shame» leggono messaggi brevi suscitando un coro che rimanda «al prossimo weekend!». Vandereecken, che non vuole fare il politico, prende tempo: «Ne dobbiamo parlare». Royberghs, che «forse vuole farlo» e ne ha tutta laria, conferma. Alex Herman, liberale e ateo, parla dal palco in inglese e annuncia «linizio della rivoluzione, perché tocca a voi far circolare il messaggio». Si alza un urlo elettrizzante, parte lola. In serata dai tg arriva la scontata replica dei leader che promettono di fare in fretta. Ostentano espressioni scure. Cinque giovani sono riusciti laddove loro hanno fallito e ora sanno di non poter più sbagliare. La marcia della vergogna è entrata in tutte le case.
L’urlo belga contro la politica
Commenti disabilitati.