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La Casa Bianca a Mubarak: “Serve libertà”

La libertà di espressione va rispettata in modo totale Ban Ki-moon, Segretario delle Nazioni Unite Il presidente Usa avverte il raìs: «Siamo con il popolo, basta con la repressione»
«Ho ascoltato Mubarak dire nel suo messaggio televisivo di voler lavorare per assicurare all’ Egitto un futuro democratico. Ho parlato con lui subito dopo e gli ho detto che ora mi aspetto che dia un significato a quelle parole. Sopprimere le idee con la violenza non aiuta». È un Barack Obama deciso e durissimo quello che parla brevemente alla Casa Bianca dopo il discorso notturno del raìs egiziano: «Deve essere chiaro alle autorità egiziane che non possono pensare di bloccare proteste pacifiche con la violenza: devono garantire al loro popolo libertà di parola e di associazione. Al tempo stesso i dimostranti devono rendersi conto che le distruzioni non porteranno alle riforme». Sorpreso da una crisi che i suoi diplomatici e i suoi servizi segreti non avevano previsto, in imbarazzo davanti alla repressione violenta delle proteste e dei disordini del Cairo, il governo Usa sta rapidamente cambiando posizione sul regime di Mubarak: l’ alleato fedele di decenni che ancora martedì veniva definito dal Segretario di Stato Hillary Clinton un «governo stabile», ora viene criticato sempre più duramente per la sua condotta: dapprima ieri la stessa Clinton si era detta «profondamente preoccupata per l’ uso della violenza da parte della polizia egiziana» e aveva rivolto un appello governo arabo perché «rispetti i diritti universali del suo popolo, compresi la libertà di espressione, associazione e assemblea», consentendo le manifestazioni pacifiche. Poco dopo il portavoce del presidente, Robert Gibbs, in una conferenza stampa più volte rinviata, aveva raccontato di un Omaba che segue momento per momento l’ evoluzione della crisi e aveva chiesto a suo nome al governo egiziano di ripristinare le comunicazioni, l’ accesso a Internet. Una prova difficilissima per il presidente che nel suo viaggio in Medio Oriente di due anni fa aveva portato le sue parole di speranza e cambiamento nella direzione di un Islam democratico proprio al Cairo, nello «storico» discorso agli studenti dell’ Università. Ma oggi i manifestanti del Cairo gridano la loro rabbia contro l’ America «complice del regime egiziano». Un regime criticato anche dal vicepresidente Biden che, però, si è rifiutato di giudicarlo una dittatura. Evidente il dilemma americano: se appoggia in pieno Mubarak contraddice il suo impegno a sventolare sempre e comunque la bandiera dei diritti universali dell’ uomo. Se lo abbandona compie, da un punto di vista diplomatico, un salto nel buio: perde un alleato strategico, essenziale nel faticoso dialogo che fin qui ha evitato un nuovo conflitto arabo-israeliano e rischia di favorire una reazione a catena. Dopo la Tunisia e l’ Egitto, la rivolta potrebbe arrivare in Arabia Saudita. Un altro alleato Usa, un regime autocratico ancora più duro di quello di Mubarak, grande fornitore di petrolio dell’ Occidente. Ma nella notte Obama ha rotto gli indugi e alla fine del suo intervento ha scelto di richiamarsi proprio al suo celebre viaggio: «L’ Egitto è un alleato importante, ma nei miei colloqui ho sempre incalzato quel governo sostenendo la necessità di profonde riforme politiche, economiche e sociali. E al Cairo dissi chiaramente che i governi devono conservare il potere col consenso, non con la coercizione».

Fonte: Corriere della Sera del 29 gennaio 2011

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