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Moisés Naim: ecco il segreto che ha risvegliato i paesi poveri

Moisés Naim ribalta il pensiero corrente: «Il mio giudizio su questi strani primi dieci anni del terzo millennio è eccellente. I fatti iconici che li rappresentano sono l’ attentato alle Torri Gemelle, le guerre in Iraq e Afganistan, la crisi: tutti negativi. Invece c’ è un’ altra realtà. Se prendiamo i numeri del 2000 sul prodotto pro capite, la mortalità infantile, le calorie assunte, l’ accesso all’ educazione, le pandemie, e poi prendiamo i numeri del 2010 scopriamo che il progresso è stato enorme». Grazie a che cosa, visto che l’ Occidente è stato alle prese con terrorismo, guerre e finanza? «All’ Asia essenzialmente e all’ America Latina. I progressi fatti dai paesi asiatici sono stati fondamentali per ridurre la povertà e avviare un processo di crescita che si è allargato a diversi paesi. L’ America Latina è stata segnata positivamente dai progressi del Brasile e di altri ed è stata avvantaggiata dal fatto che non è stata coinvolta dai quattro fatti negativi simbolo del decennio». Naim, speaker di numerose sessioni a Davos, è un grande studioso di politica ed economia internazionale, è stato ministro in Venezuela tra gli ‘ 80 e i ‘ 90, consigliere di amministrazione della Banca Mondiale, professore universitario, direttore fino al 2010 di Foreign Policy e molto altro ancora. La sorpresa è che paesi dove si concentrava la povertà mondiale, dal Vietnam al Bangladesh, dall’ Uzbekistan al Perù sono entrati in un ciclo di crescita fortissimo. Cosa è successo? «Sono paesi eterogenei e non c’ è una risposta che vale per tutti. Ma ci sono fattori generali che possono accomunarli. Il primo è che hanno risentito relativamente poco della crisi perché poco integrati con la finanza internazionale. Il secondo è che l’ esplosione degli ultimi anni non è stata così improvvisa perché questi paesi stavano già percorrendo una traiettoria di crescita, sono gli high growth poor countries che avevano creato un mercato interno che li ha resi meno dipendenti dalle esportazioni. Il terzo fattore sono le materie prime, i cui prezzi sono scesi solo di poco durante la crisi e ripartiti rapidamente». La Cina c’ entra nell’ allargamento dell’ area dello sviluppo? «Cina e India c’ entrano moltissimo perché sono grandi consumatori di materie prime. La Cina ha un forte surplus commerciale con i paesi ricchi e un deficit con tutti gli altri». Ma c’ è un qualche meccanismo che ha favorito lo sviluppo? «La risposta più onesta è: non si sa. Sappiamo cosa non funziona per lo sviluppo ma solo qualche idea su cosa aiuta». Che cosa non funziona? «Il modello di sviluppo basato sull’ espansione del settore pubblico. Caso esemplare, l’ Egitto. Secondo fattore negativo, la chiusura al mondo: i paesi chiusi non crescono. Terzo, il mancato rispetto degli equilibri macroeconomici: se lasci crescere deficit e debito pubblico, disavanzo commerciale, inflazione, se sei povero pagherai prima e un prezzo più alto». Quali sono invece i fattori che favoriscono la crescita? «La condizione di partenza è il tasso di disuguaglianza. E’ la differenza tra buona parte dell’ Asia e l’ America Latina. Quest’ ultima si trascina dietro una eredità ispanica, di grandi disuguaglianze, che anche in Asia ci sono, ma sono minori». E come incidono sullo sviluppo? «In una quantità impressionante di modi. C’ è un rapporto stretto tra l’ indice di disuguaglianza e la struttura dell’ importexport, la struttura monopolistica del mercato interno, il tasso di risparmio, la propensione alla fuga di capitali». Perché la Cina è riuscita ad allargare lo sviluppo all’ Asia, all’ Africa e all’ America Latina, mentre l’ Europa non ha favorito lo sviluppo del Nordafrica e gli Usa dell’ America Latina? «La crescita non viene importata per cui è difficile attribuire un ruolo a soggetti esteri. Ci sono paesi dove gli investimenti esteri non hanno spinto la crescita come invece è avvenuto in altri. Lo sviluppo dipende dalla situazione locale, dalla gente e dalla leadership. Singapore non sarebbe quella che è se non ci fosse stato Lee Kwan Yu, la Cina senza Deng, il Sudafrica senza Mandela, il Brasile senza Cardoso. E Cuba non sarebbe quello che è senza Fidel, il Venezuela senza Chavez e via elencando. Poi gli investimenti esteri aiutano, accelerano, ma se non ci sono le condizioni locali non arrivano e, se mai arrivano, non bastano». Quali sono le conseguenze sul sistema di potere globale di questo allargamento dell’ area dello sviluppo? «E’ morto di morte naturale il G7 ed è nato il G20, la Turchia e il Brasile non hanno lo standing internazionale per avviare un’ operazione politicodiplomatica con l’ Iran. Il conquistato peso economico si sta già trasformando in peso politico per i paesi emergenti, mentre gli “high growt poor countries” uscendo dalla povertà escono dalla marginalità. Per molte decisioni, che vanno dal cambiamento climatico al commercio internazionale, dagli armamenti alla scelta sulle Olimpiadi, non basterà mettersi d’ accordo nel vecchio salotto, si dovrà negoziare con loro da pari a pari».

Fonte: Repubblica dle 31 gennnaio 2011

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