La frenata del Parlamento al cosiddetto “federalismo municipale”, che non ha superato il vaglio della Commissione bicamerale, è stato un evento positivo. Avrebbe dovuto essere festeggiato soprattutto da quanti, come la Lega, si dichiarano favorevoli al federalismo. In quel provvedimento di federalismo non c’era nulla e si rischiava solo di creare aspettative che poi sarebbero andate deluse, carichi fiscali maggiorati in particolare per le imprese (che hanno il torto di non votare alle elezioni locali), sfondamenti di spesa pubblica con riflessi pesanti per tutti i cittadini e per il paese.
Si continua a dire, da parte della Lega e del governo con tanto di conferenze stampa, che con il federalismo ci sarà maggiore trasparenza perché gli elettori potranno alfine giudicare gli eletti sulla base di quello che sapranno fare con le tasse raccolte sul territorio. Ma questo non è affatto vero. I provvedimenti che vanno sotto il nome di federalismo hanno poco a che vedere con il federalismo di cui si parla.
Gli enti locali (regioni, province e comuni) avranno, forse, una compartecipazione (questa è la parola usata nei decreti fiscali del governo) alle imposte nazionali, sulla base di parametri locali (numero di abitanti, reddito, eccetera). In altre parole, continueremo come prima a pagare le nostre tasse di sempre (Irpef, Ires, Iva, eccetera) allo Stato, che poi le suddividerà agli enti locali: né più né meno di quanto già avviene ora. La sola differenza (di nessun conto) è che verrà predeterminato il tipo e l’ammontare d’imposta che verrà distribuito agli enti locali. Appunto la “compartecipazione” alle tasse dello Stato. Ossia il cittadino paga allo Stato e gli enti locali si spartiscono parte di quei soldi.
È questo il federalismo? È questo il federalismo fiscale? No, perché federalismo fiscale implica tasse locali proprie e autonomamente determinate dalle regioni sui propri contribuenti. Lo Stato al massimo può fare opera di necessaria perequazione per le regioni più povere. Con un articolo pubblicato su questo giornale il 29 dicembre 2010, parlai di «imbroglio federale» a proposito di queste leggi. Più severo di me e con maggiore competenza si è espresso il presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo che (come riportato dal Sole 24 Ore del 5 febbraio) ha parlato di «bestemmia» a proposito di federalismo municipale e di «abuso linguistico», perché la legge che si voleva approvare altro non era che una semplice «legge di autonomia finanziaria dei comuni», che nulla ha a che vedere con il federalismo.
Che dire poi del fatto che l’Italia si avvia, a stare ai propositi del Parlamento, non già a essere uno Stato federale, ma più Stati federali sovrapposti sullo stesso territorio? Infatti si parla da noi di “federalismo regionale” assieme al “federalismo municipale”. Immagino che ci sarà anche un “federalismo provinciale” e, forse, in futuro, quello per rioni, quartieri e contrade. Anche in questo caso si sta pericolosamente giocando con le parole. Stiamo attuando una banale forma di decentramento e di autonomia finanziaria locale su più livelli che è implicita nella nostra Costituzione. E lo stiamo facendo molto male perché ci si ostina a dare al tutto una parvenza di federalismo. Che senso ha introdurre sistemi di compartecipazione a specifiche imposte che sono state concepite per essere nazionali? Che senso ha dibattere per distribuire con parametri locali poche entrate nazionali quando l’azione di redistribuzione e di perequazione dovrà essere comunque gigantesca, date le forti diversità nel territorio italiano?
Non era meglio ragionare su come distribuire le risorse sul territorio per garantire a ogni ente locale di adempiere alla propria missione ponendo degli standard ai servizi da erogare? Questi standard verranno comunque posti dal nostro pseudo-federalismo. Ma allora, se tutti gli enti locali dovranno adeguarsi a questi standard nella loro spesa, perché perdere tempo e creare confusione e distorsioni andando a definire quali sono le compartecipazioni di singoli gettiti di specifiche imposte? E, se veramente si voleva dare una qualche autonomia locale, non era meglio creare una vera imposta locale liberamente a discrezione degli enti locali?
Tutto quello che si è fatto sotto l’etichetta del federalismo non significa affatto che stiamo facendo uno storico salto verso uno Stato federale dai gloriosi orizzonti, come si pretende. E non si capisce perché si debbano imbrogliare gli italiani. Forse si pensa che siano tutti ignoranti e che basterà loro la vittoria-simbolo di un federalismo mai realizzato?
Con tutti i problemi che ha oggi l’Italia e con la necessità e urgenza di rilanciare la crescita, di ridare spazio ai redditi delle famiglie tagliati dalla crisi, di offrire una qualche prospettiva alla massa di giovani disoccupati, non è proprio il caso di spendere soldi e energie per questa farsa.
Una salutare frenata federale
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