Proprio pregiudizio, sì, non solo contro gli italiani, anche contro altri europei, è quello che sta venendo a galla in modo potente in Germania in questi tempi, a proposito della gara per la banca centrale europea e non soltanto.
Nellormai noto servizio del quotidiano popolare Bild di alcuni giorni fa, oltre a denigrare Mario Draghi perché italiano, si sfottevano con stereotipi vari i governatori delle banche centrali spagnola, portoghese e greca. Tutto questo nonostante il fatto che nessuno abbia mai pensato di candidarli alla poltrona di numero uno della Bce. Inoltre, si addossavano allirlandese Patrick Honohan, fino al settembre 2009 professore universitario, le responsabilità del suo predecessore, per poi autolesionisticamente stroncare perfino il lussemburghese Yves Mersch, vicinissimo alle posizioni tedesche.
Non si tratta solo degli eccessi di un giornale sempre pronto ad abbassarsi al livello dei peggiori dei suoi lettori. Anche in altri casi un problema di pregiudizio etnico cova. Uno dei più bravi dirigenti della Deutsche Bank, multinazionale del credito, è lindiano Anshu Jain: molti in Germania pensano che la sua nazionalità ne precluda lascesa ad amministratore delegato (lattuale, Josef Ackermann, è pure straniero, ma essendo svizzero di lingua tedesca va bene). A favore di Draghi, conta poco che personaggi autorevoli e informati della Germania, come Norbert Walter, uno degli economisti più noti, e il presidente della Banca europea per la ricostruzione Thomas Mirow, lo riconoscano come il candidato migliore. Angela Merkel continua a temere che gli elettori non capiscano.
Alla volgarità nazionalista che erompe dal basso, daltra parte, non fa freno che la classe dirigente tedesca si esenti da ogni colpa della crisi. Si attribuiscono la difficoltà delleuro ai governi spendaccioni, cosa del tutto vera solo nel caso della Grecia, giustificata in parte per il Portogallo, mentre ciò che ha affondato lIrlanda e messo in difficoltà la Spagna è il debito privato, e tra i prestatori incauti le banche tedesche erano in prima fila. Casomai vittimisticamente ci si lamenta, come fa il noto economista Hans-Werner Sinn, presidente dellistituto Ifo di Monaco, che la perfida tentazione del boom immobiliare in Spagna o in Irlanda abbia sviato denaro tedesco utile a investimenti produttivi in patria.
Il rifiuto della solidarietà europea si è purtroppo rafforzato negli ultimi giorni. Tutti e tre i gruppi parlamentari della maggioranza di centro destra, cristiano-democratici, cristiano-sociali e liberali, hanno presentato al Bundestag una mozione che, con il pretesto di «rafforzare» la posizione negoziale del governo nei prossimi vertici europei, in realtà gli legherà le mani: tra laltro, niente riacquisto di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà da parte dellente europeo di soccorso. Si tratta forse anche qui di un autogol, dato che per ottenere regole più dure la Germania farebbe bene ad allearsi alla Bce, che pure le chiede, invece di contraddirla su quel punto essenziale e su altri. Ma tantè, «sono gli elettori che ce lo chiedono» dicono i deputati al lavoro sul testo.
Secondo gli ottimisti, proprio un successo di Berlino sulle nuove regole per leuro renderebbe possibile accettare un compromesso sulla presidenza della Bce. Una volta che si possa spiegare ai tedeschi che tutti i Paesi dovranno seguire regole alla tedesca, passerebbe anche un presidente italiano per la Bce. Ma che la Francia voglia davvero regole stringenti, è tutto da dimostrare. Questo è il motivo per cui a Parigi, dove il pregiudizio nazionale non è elegante e non attecchisce, si continua a insistere invece sullhandicap che per Draghi costituirebbe i tre anni nella banca di investimento americana Goldman Sachs. Sarà una partita lunga.
Ma Merkel ha le mani legate
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