Una dinastia che conduce una guerra così brutale contro il suo popolo è finita.Guido Westerwelle, ministro degli Esteri tedesco Intesa all’ Onu sulle sanzioni, dubbi di Cina e Russia sul deferimento alla Corte penale I punti bocciati Pechino e Mosca la spuntano: niente intervento militare umanitario e no fly zone.
A New York l’ Onu vara le sue sanzioni in una risoluzione con la quale cerca di rendere totale l’ isolamento di Gheddafi, anche se Cina e Russia resistono fino all’ ultimo su una formulazione che apre la strada alla condanna del dittatore per crimini contro l’ umanità. Americani ed europei tentano anche di verificare se esistono gli spazi per un eventuale intervento umanitario multinazionale in Libia: proprio quello che Mosca e Pechino vogliono evitare. A Washington, intanto, Barack Obama, uscito dal lungo silenzio che si è imposto fino al momento dell’ evacuazione dei cittadini americani bloccati a Tripoli, alza il tiro: scandisce che il dittatore «se ne deve andare subito» e valuta le opzioni militari, a cominciare da quella dell’ istituzione di una «no fly zone». Parlando al telefono con la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente afferma che Gheddafi non è più legittimato a governare e deve essere chiamato a «rispondere dei suoi atti». Sale, dunque, il profilo dell’ impegno americano nel Mediterraneo in fiamme, ma Obama non ha intenzione di farsi trascinare in un nuovo conflitto: salvo blitz resi necessari da situazioni d’ emergenza, l’ uso della forza viene considerato solo in un quadro di intervento multinazionale. Il presidente ne parlerà domani alla Casa Bianca col segretario generale dell’ Onu Ban Ki-moon, mentre il suo Segretario di Stato, Hillary Clinton, sarà a Ginevra per discutere del caso Libia davanti al Consiglio Onu per i Diritti umani e con alcuni partner europei, come il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. Si è aperta una fase politica nuova e drammatica nel quale il nostro Paese ritrova una sua centralità, per motivi geografici, per la storia delle sue relazioni con la Libia e per i rapporti – altalenanti ma comunque intensi – col dittatore al potere da 41 anni. Per questo Silvio Berlusconi, che si è esposto con Gheddafi più di chiunque altro, dopo essere stato lungamente consultato giovedì da Obama, ieri ha ricevuto la chiamata del segretario generale delle Nazioni Unite. Un grazie formale per l’ impegno italiano di questi giorni – 22 funzionari dell’ Onu sono stati evacuati da Tripoli a bordo di un nostro aereo militare – e una conversazione riservata sulle varie opzioni possibili. Si sta delineando, insomma, una sorta di «doppio binario» diplomatico che ritroviamo nelle mosse dei due ambasciatori libici in terra americana: l’ altra sera, proprio mentre il capo della rappresentanza all’ Onu Abdurrahman Shalgham, legatissimo per decenni al colonnello al quale è rimasto fedele fino all’ ultimo, chiedeva fra le lacrime al Consiglio di Sicurezza di bloccare il massacro ordinato da Gheddafi, a Washington l’ ambasciatore di Tripoli negli Usa, Ali Suleiman Aujali, ha chiesto agli americani di decretare una «no fly zone» sopra la Libia per impedire che jet ed elicotteri di Gheddafi continuino a mitragliare i cittadini in rivolta. Ma Washington prende tempo mentre il pianto di Shalgham e l’ accorata lettera da lui scritta ieri al Consiglio di Sicurezza non hanno fatto breccia più di tanto tra i capi delle diplomazie del «palazzo di Vetro». Difficilmente una condanna dell’ Onu e un embargo analoghi a quelli decisi vent’ anni fa contro Saddam Hussein e anche contro la Libia ai tempi (1988) l’ attentato contro il «jumbo» Pan Am precipitato a Lockerbie, convinceranno Gheddafi a smettere di massacrare il suo popolo. Eppure la risoluzione di cui ieri si attendeva l’ approvazione nella notte dopo un ultimo via libera da Pechino, rappresenta una svolta importante. Il documento che impone l’embargo sulla vendita di armi, congela i beni del governo di Tripoli all’ estero, vieta al dittatore libico e ai suoi familiari (22 persone in tutto) di lasciare il Paese e crea le premesse di un processo a Gheddafi per crimini contro l’ umanità davanti alla Corte Penale internazionale dell’ Aja, è stato infatti definito e messo in votazione nell’ arco di poche ore. Non succedeva da tempo immemorabile: una novità, rispetto alla prassi delle lunghe battaglie diplomatiche di trincea che l’ ambasciatore francese al «palazzo di vetro» ha enfaticamente definito «un terremoto». Il tribunale dell’ Onu esaminerà gli eventi a partire dal 15 febbraio scorso per verificare se esistano gli estremi per un’ incriminazione del dittatore. L’ intervento militare umanitario o l’ istituzione di una «no fly zone» invocati dagli stessi diplomatici libici che hanno abbandonato il colonnello, per adesso non sono all’ ordine del giorno: Pechino e Mosca ieri hanno frenato sulla risoluzione proprio per non aprire varchi a un intervento militare. Se si muoverà, Obama lo farà solo con la copertura della Nato e di alcuni Paesi islamici. Ma ieri anche la Turchia, unica presenza musulmana nell’ Alleanza, ha frenato.
Obama intima a Gheddafi:”Vattene subito”
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