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Sostenere la democrazia, non imporla. La “dottrina Hillary” archivia Bush

Appoggiare le richieste di libertà, di rispetto dei diritti umani e di promozione dello sviluppo che incendiano il mondo arabo e l`Iran ma sono destinate a propagarsi agli altri Paesi illiberali del mondo, per gli Stati Uniti è un dovere, ma anche – e soprattutto – un imperativo strategico. I movimenti di liberazione devono nascere dall`interno di questi Paesi, ma l`America darà il suo aiuto sostenendo le organizzazioni della società civile, incoraggiando le componenti più dinamiche sulla via del rinnovamento giovani e donne – e cercando di tutelare i diritti delle minoranze.
Nel suo discorso di ieri a Ginevra davanti al Consiglio Onu per i Diritti Umani, Hillary Clinton è andata ben oltre il caso Libia e l`esigenza di costringere Gheddafi ad abbandonare subito il potere. Il Segretario di Stato Usa ha provato ad abbozzare quella che potrebbe essere definita una nuova «dottrina Clinton» (senza più la firma di Bill, ovviamente): un tentativo di ridefinire la rotta della diplomazia americana, chiamata a svolgere un ruolo più attivo rispetto alla linea di non ingerenza fin qui seguita dalla Casa Bianca di Barack Obama, ma senza un vero avvicinamento alla «Freedom agenda» di George Bush.
Rispetto alla precedente Amministrazione, infatti, le differenze rimangono profonde: sull`uso dello strumento militare, sul ricorso a strumenti multilaterali come l`Onu e nell`applicazione della sua dottrina. Bush non incalzò mai gli alleati mediorientali e Paul Wolfowitz, l`ideologo della reazione americana dopo l`attacco del 2ooi alle Torri gemelle, nel bocciare la linea di Obama sulla Libia, ha anche attaccato l`ex presidente per le sue aperture a Gheddafi.
Oggi Hillary Clinton sostiene con enfasi il diritto dei popoli a decidere del loro futuro e garantisce il sostegno degli Stati Uniti a «tutti i processi di transizione ordinata, pacifica e irreversibile» verso una vera democrazia.
Elezioni libere e trasparenti sono essenziali in questo processo, ma il ministro degli Esteri riconosce che non sono sufficienti e che l`Occidente non può pretendere di avere tutte le risposte. Le società sono diverse, ma alcuni valori come la libertà d`espressione e la lotta alla corruzione sono universali.
A chi giudica naive la simpatia degli Usa per sommovimenti di cui non conoscono bene la genesi e che rischiano di sfociare in un trionfo dell`integralismo (lo storico Niall Ferguson ha appena pubblicato su Newsweek una dura requisitoria sull`amore degli americani per le rivoluzioni), il Segretario di Stato replica che non si può più ignorare una realtà elementare: il mondo è cambiato.
«Questo non è più il mondo di mia madre e nemmeno il mio», ha confessato con toni quasi accorati Hillary, forse memore del fatto che solo qualche settimana fa parlava di Mubarak come di un «vecchio amico di famiglia» e definiva «stabile» il suo regime 48 ore prima della sua caduta.
«Quello che è stato possibile nel XX secolo non è più possibile con le tecnologie del XXI che consentono a chiunque – soprattutto ai giovani – di sapere in ogni momento quello che accade nel mondo. E una situazione nuova: nessuno accetta più uno “status quo” che blocca le sue aspirazioni». Chi non ne prende atto è perduto: « È per questo che c`e convergenza tra i nostri valori democratici e gli interessi strategici dell`America:senza passi avanti (dei Paesi a guida autocratica, ndr) verso forme di governo eletto, trasparente e responsabile il gap tra i popoli e i loro leader non potrà che crescere, e con esso crescerà l`instabilità».
Insomma, l`America ha interesse a promuovere la democrazia non solo per fedeltà ai suoi valori, ma perché l`ostinazione dei regimi che non rispondono ai desideri dei loro popoli mette in pericolo i loro leader e gli stessi interessi degli Usa. «E la storia ci insegna – ha aggiunto la Clinton, – che le democrazie tendono a essere più stabili, più pacifiche e più prospere».
Un intervento, quello di Ginevra, che richiama il lunghissimo discorso sulla Internet democracy la necessità di tutelare ovunque la libertà della rete – da lei pronunciato due settimane fa al Dipartimento di Stato.
In questo senso è forse lecito parlare di abbozzo di una nuova dottrina.
Con tutte le cautele del caso, visti infortuni e incertezze della Casa Bianca e della diplomazia Usa nelle settimane della crisi. Certo, la situazione è complessa e Obama deve tener conto di vari fattori che limitano i suoi margini di manovra: il rischio che, togliendo l`appoggio a qualche vecchio despota, non vinca la libertà ma l`integralismo islamico. L`esigenza – nel caso della Libia – di attendere l`evacuazione dei cittadini statunitensi prima di disporre l`assedio militare ed economico contro Gheddafi.
Quanto al Bahrein, altro Paese scosso da venti di rivolta, le mosse Usa sono condizionate dal fatto che qui ha base la sua Quinta Flotta, che protegge la libera circolazione del Golfo Persico con la sua «autostrada del petrolio».
Ma il presidente si è anche reso conto di essere stato troppo timido nella prima parte del suo mandato, non sostenendo adeguatamente i fermenti democratici in Medio Oriente, oltre alle rivolte dello scorso anno nelle vie di Teheran. Venerdì scorso il Los Angeles Times ha raccontato di una riunione alla Casa Bianca (riferita da un anonimo funzionario) nel corso della quale il presidente ha annunciato «un nuovo approccio politico» basato sui rapidi cambiamenti in atto nel mondo arabo e ha chiesto ai suoi consiglieri per la sicurezza di anticipare i sommovimenti: «Seguite anche i Paesi ancora non scossi dalle proteste, non solo quelli in rivolta».
Un mandato simile a quello dato ieri dalla Clinton ai suoi diplomatici dopo che due settimane fa aveva posto la tutela della libertà informatica come una nuova priorità per gli ambasciatori Usa in tutto il mondo.
Non saranno né Google né Facebook a governare al Cairo e a Tripoli, ma in un mondo in cui cresce il peso di potenze illiberali come la Cina, Washington rilancia sui diritti umani e le libertà digitali, aree su cui ha un primato difficilmenté discutibile.

Fonte: Corriere della Sera del 1 marzo 2011

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