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L’occasione della Libia

«E’ il momento di ridare impulso alla politica euromediterranea, non c’è tempo da perdere». Sennò che succede, señor Solana? «Sennò succede che si rischia di ingenerare un senso di frustrazione nei popoli che ora invocano la democrazia – dice lo spagnolo che sino al 2009 ha guidato la politica estera Ue -, c’è il pericolo che possano sentirsi trascurati da un’Europa in ritardo». Invece, spiega, «ci sono aspettative nei nostri confronti a cui dobbiamo rispondere, senza imporre nulla. Dobbiamo accompagnare il cambiamento, dal punto di vista economico e politico, evitando in ogni modo il paternalismo. E dobbiamo farlo subito».
Francisco Javier Solana de Madariaga, 69 anni, socialista, è un fisico che la politica ha fatto diventare segretario della Nato e per dieci anni “ministro degli esteri” dell’Ue. La rivoluzione Nordafricana lo appassiona, valuta che «la comunità internazionale ha agito bene e il Consiglio di sicurezza ha varato in fretta risoluzioni molto forti, applicando senza esitare il principio della “responsabilità di proteggere”». E’ stato tutto legittimo, assicura: «Uno stato stava agendo contro i propri cittadini. Se non fossimo intervenuti ora, quando avemmo dovuto farlo?».
C’è chi vede una corsa fra Usa e Europa per sfruttare il momento e guadagnare egemonia sul Nord africa. Lei?
«Mi pare che sinora le relazioni siano state molto corrette. Stati Uniti e Ue hanno usato, insieme, tutti gli strumenti che avevano a disposizione. Per vocazione, io spero sempre di vedere l’Europa svolgere un ruolo importante sullo scacchiere internazionale. Ma non è questo il motivo per cui non ho ragione di criticare quanto s’è visto sinora».
Le sanzioni contro la Libia sono partite. Altre misure sono in preparazione. Condivide la “no fly zone”?
«Sono favorevole a qualunque intervento eviti il ripetersi dei drammi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni».
In passato l’Europa è stata troppo buona con Gheddafi?
«Diciamo che ci sono stati degli alti e bassi. Dopo la vicende di Lockerbie e la disputa sulle armi di distruzione di massa, siamo andati un po’ troppo in là nella normalizzazione delle relazioni. Certo c’era una voglia di mettere le cose a posto, ma visti i precedenti, siamo stati eccessivamente rapidi».
Il premier Berlusconi ha invitato a essere cauti sull’esilio di Gheddafi. Come le sembra l’atteggiamento italiano?
«A Ginevra il ministro Frattini è stato chiaro e ha collocato l’Italia in una posizione coerente con quella dell’Ue».
La politica euromediterranea è una vuota. Come se ne esce?
«Ci abbiamo provato nel 1995 col processo di Barcellona, poi nel 2008 col piano francese. Non ha funzionato. Dopo il vertice di Parigi in cui Sarkozy e Mubarak erano fianco a fianco, non ci sono stati altri incontri. Il segretario dell’Unione per il mediterraneo si è dimesso e la sua poltrona è vuota. Dobbiamo fermarci a ragionare su cosa possiamo veramente fare davanti agli eventi di queste settimane. La crisi offre problemi, ma anche opportunità».
Qual è la formula?
«Non c’è nulla da inventare. Il mondo euromediterraneo è una realtà negli assetti globali, la traccia è segnata. Saremmo matti se non cercassimo di approfondire i legami, attraverso una interazione politica ed economica. Occorre fare il possibile per avvicinare Marocco e Algeria, altrimenti il Maghreb non sarà mai un cliente facile. Tunisia, Libia e Egitto sono centrali in ogni strategia, ma non si devono trascurare Libano, Siria e Medio Oriente. Tutto va considerato insieme. Tutto richiede una nuova spinta».
Ha dimenticato la Turchia…
«Guai a farlo. Sarebbe un errore dare ad Ankara l’impressione che sia fuori dalle nostre priorità».
Il Nord Europa non ha lo stesso slancio del Club Med.
«Devono capire che non si tratta di una questione che riguarda solo una parte del continente. Qui è in gioco la stabilità di tutti. In passato abbiamo fatto un gran lavoro per la democratizzazione dell’Est, è stato un cambiamento rapido e pacifico, facilitato dalla prospettiva di adesione all’Ue. Per i mediterranei sarà più complesso, loro questo obiettivo non ce l’hanno. Lo sforzo è più grande».
Vede la minaccia di un esodo biblico dalla Sirte all’Italia?
«Non ci sarà se le scelte saranno equilibrate. La Libia è un paese sottopopolato con molte risorse. Dobbiamo aiutarla a creare le condizioni perché la gente non abbia ragioni per partire. E’ possibile. E’ la nostra scommessa».

Fonte: La Stampa del 2 marzo 2011

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