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Frettolosa e pasticciona questa guerra è una fregatura

Nelle scuole di partito della Prima Repubblica insegnavano che, in politica, gli errori derivano sempre da un’analisi sbagliata. Più passano le ore e più ci rendiamo conto che l’attacco alla Libia – da parte di una coalizione armata che interpreta a suo modo (e non in maniera univoca) una risoluzione dell’Onu e che non ha ancora trovato un assetto compiuto per quanto riguarda il comando — rischia di trasformarsi in un tragico errore, di cui l’Italia pagherà le conseguenze, qualunque sia l’esito della guerra civile in atto sull’altra sponda del “mare nostrum”. L’analisi è sbagliata, innanzi tutto perché è frettolosa ed ispirata da quanti cercano di farsi perdonare di aver appoggiato, a suo tempo, le scorribande all’Armata rossa. E non riguarda soltanto il caso libico, ma tutte le vicende che — pur con le loro specificità — hanno coinvolto, negli ultimi mesi, i Paesi arabi. Le potenze europee ed occidentali sono state colte di sorpresa dalle proteste popolari che si sono rapidamente diffuse in tutta quell’area strategica per le economie dei Paesi sviluppati. Si è diffuso ben presto nelle Cancellerie occidentali il complesso della «coda di paglia», poiché ciascuna di esse aveva trovato un proprio «modus vivendi» con le satrapie al potere da decenni (che pure avevano garantito un certo equilibrio in quel delicato scacchiere). L’imperativo categorico — quello di farsi perdonare scelte di politica estera giustamente ispirate alla realpolitik – ha portato ad appoggiare, acriticamente, quei settori di popolazione che protestavano, accreditandoli di istanze di maggiore democrazia e libertà, tutte da dimostrare. È venuto, allora, il momento delle solite «anime belle» e dei visionari che, senza sapere nulla di quei movimenti e del loro tasso di fondamentalismo, li hanno accreditati, evocando ora «1’89 del Maghreb» ora «il Risorgimento arabo». NIENTE STRAPPI Poi, in ognuna di quelle situazioni le cose si sono messe a posto senza eccessivi strappi: in taluni casi vi è stato qualche cambiamento «gattopardiano» nelle classi dirigenti; altrove, purtroppo, ha operato una dura repressione che i paladini della libertà fingono di ignorare; in Egitto ha preso il potere l’esercito. La domanda è: perché in Libia si è voluto seguire una diversa linea di condotta, fino a fornire, nei fatti, un sostegno militare ai «ribelli»? Di questo si è trattato: i raid aerei sono andati ben oltre la creazione di una «no fly zone», tanto da aprire una dialettica tra i Paesi che avevano appoggiato la risoluzione dell’Onu.
INSORTI ARMATI Si è parlato di genocidio, dimenticando che gli insorti sono armati fino ai denti e dispongono di armamenti di ogni tipo che esibiscono con baldanza e che usano in modo efficace tanto da contrastare l’avanzata dell’esercito regolare (ammesso e non concesso che lo si possa riconoscere tale in un conflitto tra tribù di un Paese unificato ad opera del colonialismo). Si è detto che la coalizione aveva il compito di difendere la popolazione civile: perché solo quella di Bengasi e dintorni e non anche quella di Tripoli? Il fatto è che il colonnello «beduino» era stato dato per spacciato troppo presto e troppo presto si erano fatte aperture di credito ai «ribelli». Per difendere tali scelte — frutto di analisi sbagliate — nel riconoscimento dei propri interlocutori, oggi alcuni Paesi tentano di forzare la mano. Silvio Berlusconi aveva intuito che occorreva maggiore prudenza: il fatto che la situazione gli sia sfuggita di mano sul piano internazionale e su quello interno è un segno delle difficoltà personali in cui il premier è costretto ad operare. Ma aveva ragione lui. Presa in contropiede l’Italia forse non avrebbe potuto tenere una linea di condotta diversa. Ma ora il Governo deve approfittare del ripensamento, in atto a livello internazionale, per concorrere a determinare una strategia più equilibrata, effettivamente allineata con la risoluzione dell’Onu e sotto l’egida della Nato. È il solo modo per ricucire una linea comune della maggioranza, in grado di denunciare davanti all’opinione pubblica l’atteggiamento strumentale della sinistra (la stessa che è scappata a gambe levate dall’Iraq), la quale è pronta ad indossare anche l’elmetto pur di creare dissapori tra il PdL e la Lega Nord.

Fonte: Libero del 23 marzo 2011

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