• domenica , 24 Novembre 2024

Circolo vizioso intorno ad Atene

Marine Le Pen ha già cominciato a ventilare la possibilità di una zona monetaria unica del Mediterraneo, con al centro la Francia. Questa finora era vista come una specie di condanna storica per i paesi dell’ Europa del Sud. La leader della destra estrema francese la rilancia invece come qualcosa di costruttivo e di positivo. Peccato che venga da lei. Altrimenti, un rafforzamento dei legami tra i paesi del Mediterraneo sarebbe auspicabile, e infatti io stesso lo proposi in occasione della grande crisi dello SME nel 1992, sotto forma di una unione politica tra Italia e Francia, che avrebbe allora avuto anche uno spiccato senso economico. Ma il mondo non sta fermo e, nei vent’ anni successivi, la unificazione monetaria europea è divenuta realtà e, insieme ad essa, finalmente si è realizzata anche l’ Unione economica. Il commercio tra i paesi della Ume non si può più considerare veramente commercio internazionale. E’ divenuto commercio interregionale e di questo ha beneficiato e beneficia ancora oggi più di tutti l’ industria tedesca, come risulta dalle statistiche sul commercio intraUme.Ne hanno beneficiato, fino allo scoppio della crisi, anche i paesi periferici dell’ Europa, ai quali sono stati permessi e finanziati squilibri di conto corrente enormi. Si importava e si importa dalla Germania come se fosse la regione manifatturiera della grande Europa, senza preoccuparsi di tenere i conti in pareggio. E le banche tedesche e francesi hanno, in questo decennio di moneta unica, prestato liberamente risorse alle proprie consorelle del Sud Europa, e anche ai governi della periferia europea, sia ad Est che a Sud. Per una crisi che è cominciata negli Stati Uniti e in Inghilterra tutto questo viene ora messo in dubbio. Dai giornali anglosassoni provengono giornalieri consigli ai paesi dell’ Europa mediterranea (considerando tra loro anche l ‘Irlanda, malgrado i suoi tentativi di non essere messa in tale screditata compagnia) di fare più o meno quello che propone Marine Le Pen, uscire dall’ Euro, offrire ai creditori degli enti pubblici e delle banche solo una frazione di quel che è loro dovuto, svalutare dunque una loro nuova moneta unica oppure le monete nazionali alle quali possono tornare. La certezza, da parte di questi consiglieri, è che così facendo, i paesi del Mediterraneo e l’ Irlanda possano tornare a crescere a tassi assai superiori a quelli ai quali l’ amara medicina consigliata dalle autorità della Ume li condanna. L’ esempio dell’ Argentina dopo il default del 2001 è citato sempre più esplicitamente. Mentre in Italia all’ Euro si accredita di “non averci fatto fare la fine dell’ Argentina”, questo è ora divenuto un esempio positivo, perché in effetti, pagando ai propri creditori un massimo del 30% di quel che gli era dovuto, e agganciandosi al boom delle materie prime e prodotti agricoli scatenato dai paesi asiatici, l’ Argentina ha conosciuto dopo il 2001 tassi di crescita che hanno permesso di riportare un terzo dei suoi abitanti sopra il livello di povertà al quale l’ aveva condotto la imbecille politica del duo MenemCavallo, di aggancio a un dollaro che veleggiava verso valori sempre più alti, seguito da uno sganciamento e una disastrosa insolvenza. Quindi, si dice apertamente alla Grecia, che è il paese ora in maggiore difficoltà nel mantenere le promesse di austerità fatte lo scorso anno in cambio dell’ aiuto europeo e del Fmi, perché insistere in questa autoflagellazione che comunque non porterà ad un riequilibrio economico e costerà lacrime e sangue per molti anni, quando potete invece perlomeno minacciare una uscita volontaria dall’ Euro e una insolvenza sui debiti con soluzione all’ Argentina, e cioè un “taglio di capelli” di circa il 70% imposto ai creditori pubblici e privati. E’ interessante ma anche francamente incomprensibile che queste proposte siano condivise anche da una parte non piccola della opinione accademica e politica tedesca, alla quale la grande stampa, con in testa lo “Spiegel” , dà la massima pubblicità. E’ stato acutamente notato, infatti, che negli ultimi mesi, tutte le “soffiate” sulla possibile uscita della Grecia dall’ Euro sono venute da fonti tedesche. Ma la stampa è solo un amplificatore di opinioni che in Germania molti autorevoli personaggi intrattengono. Un paio di mesi fa addirittura 186 economisti tedeschi, tra i più eminenti, hanno pubblicato un appello che sposava le opinioni anglosassoni: alla Grecia bisognava imporre una soluzione che comprendesse una corposa partecipazione dei creditori ai costi di una ristrutturazione del debito. Questa opinione non è cambiata nei mesi successivi, se un economista tedesco che insegna a Oxford ha dichiarato solo qualche giorno fa alla Handelsblatt che un ulteriore indebitamente vuol dire ” Griechenland kaputt”, una espressione che non c’ è bisogno di tradurre. E’ evidente che nessuno in Europa crede che la Grecia possa far fronte ai propri impegni internazionali senza una ristrutturazione del debito. All’ inizio della crisi espressi tale opinione, ma speravo, in un tempo in cui la canea della stampa anglosassone, una volta tanto nel significato letterale di questa espressione, che comprende anche la Germania, non aveva ancora cominciato a imperversare con raffiche di rivelazioni quasi quotidiane, che la ristrutturazione avrebbe preso la forma di un riscadenzamento del debito, allungandone di una diecina d’ anni la vita e riducendone sensibilmente il costo annuo. E speravo che a tale risultato si potesse giungere nel 2012, in un migliore clima economico in Europa e nel mondo. Questo, tuttavia, non è accaduto. Non è questo che gli autonominati consiglieri anglosassoni vogliono che la Grecia faccia. Alcuni di loro auspicano che se ne vada dall’ Euro volontariamente, tornando alla Dracma e seguendo l’ esempio argentino sui debiti. Altri consigliano che resti nella moneta unica, ma che i creditori assorbano pesanti tagli di capelli. Quanto alle autorità che hanno messo in piedi e amministrano gli aiuti alla Grecia, esse continuano ad affermare con la massima tranquillità che non c’ è alcun bisogno di ristrutturare o riscadenzare nulla. La Grecia ha accettato uno Stand by del Fmi nel 2010 e un gigantesco intervento dei paesi dell’ Euro. La Bce ha fornito prestiti di ultima istanza alle banche greche, accettando come collaterale forti quantità di debito pubblico ellenico. In effetti la Bce ha permesso che la banca centrale e specialmente il governo ellenico garantisca a piene mani i debiti delle banche greche con le loro consorelle estere. Nessuno, in tutto questo tempo, si è azzardato a consigliare alla Grecia un ritorno ai controlli sulle esportazioni di capitali, col risultato di vedere una parte assai notevole dei depositi dei cittadini greci fuggire verso le banche estere, considerate assai più sicure di quelle di casa. Così, i greci sono stretti tra i loro vecchi peccati che non vogliono abbandonare, il desiderio di non uscire dall’ Euro, per non trovarsi a fare i conti con una gestione del debito pubblico ancor più affannosa, e il rifiuto di una insolvenza che non colpirebbe solo gli stranieri ma anche una quantità di cittadini e istituzioni greche, a tutti i livelli. La Bce e le autorità europee, dal canto loro, si trovano costrette a continuare a sovvenzionare la Grecia, perché troppo grande è lo stock di crediti accumulati nei suoi confronti, che una insolvenza costringerebbe a caricare su bilanci bancari e pubblici tutt’ altro che floridi, in tutti i paesi dell’ Europa. Così si è attivato un circolo vizioso, nel quale i tedeschi fanno la faccia feroce minacciando i greci di far loro pagare le malefatte economicofinanziarie degli anni passati, la Bce nega ogni necessità di ristrutturazione per la Grecia, suggerendo scenari apocalittici di contagio finanziario in tutta Europa nel caso si faccia, e i greci iniziano a prospettare soluzioni unilaterali radicali, come s’ è detto dando ascolto a consiglieri angloamericani, ai quali non pare vero di esorcizzare, con una esplosione dell’ Euro, la minaccia che proviene alle loro monete e alle loro attività di intermediazione finanziaria internazionale da una zona Euro forte e coesa.

Fonte: Repubblica del 16 maggio 2011

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