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Romney e gli altri:in sette sulla giostra repubblicana

Verso la Casa Bianca.Inizia la corsa, con vecchi leader che ci riprovano e nuovi personaggi che faticano a farsi conoscere.Oggi il primo dibattito tv tra i candidati alla nomination del partito per le presidenziali 2012.
Vecchi leader che ci riprovano, giocandosi la loro ultima carta: Mitt Romney, sconfitto da McCain quattro anni fa, e Newt Gingrich, l’ uomo della «rivoluzione repubblicana» del ‘ 94 e del «Contratto con l’ America» che fu fonte di ispirazione perfino per Berlusconi. Ma anche Ron Paul, l’ ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum e, forse, Rudy Giuliani. Nella loro ombra arrancano nuovi personaggi che faticano a farsi conoscere dalla gente (Tim Pawlenty, Jon Huntsman). A tenere desta l’ attenzione, nel tendone del circo elettorale repubblicano ci sono, poi, lo scontro a distanza tra le due donne più amate dai «Tea Party», Sarah Palin e Michele Bachmann, e la prima «congiura di palazzo»: consulenti e strateghi elettorali che hanno abbandonato in massa Gingrich, forse per andare a lavorare per un altro candidato non ancora uscito allo scoperto (il governatore del Texas, Rick Perry). La campagna per la «nomination» repubblicana alla Casa Bianca che inizia ufficialmente stasera col primo vero dibattito (organizzato dalla Cnn in New Hampshire) tra i sette candidati fin qui scesi ufficialmente in campo, trabocca di storie che riempiono siti e pagine politiche dei giornali. Una giostra elettorale che si è rimessa in moto con sei mesi d’ anticipo sull’ avvio delle «primarie», ma in ritardo rispetto alla campagna precoce di quattro anni fa. Dal punto di vista politico, però, la competizione per ora non scalda i cuori, non decolla. Nessuno dei candidati scesi in campo fa sognare l’ elettorato conservatore americano. Quelli che hanno fan che stravedono per loro – la Palin e, in misura minore, il libertario radicale Ron Paul – sono anche figure che dividono: cavalli sui quali è molto rischioso puntare visto che una maggioranza degli elettori dice chiaramente che non li voterà in nessun caso. Gli altri non solo non esaltano, ma nemmeno convincono: Huntsman, che annuncerà la sua candidatura tra dieci giorni (e, quindi, non sarà presente al dibattito di oggi, come, del resto, la Palin), è totalmente sconosciuto alla grande maggioranza degli elettori. E molti di quelli che sanno chi è, gli rimproverano la sua collaborazione con Obama del quale è stato ambasciatore a Pechino fino a poche settimane fa. Così Huntsman, un moderato dai toni garbati che aveva promesso di condurre una battaglia politica sulle cose, senza ricorrere a toni astiosi, sta virando verso una retorica molto più aggressiva anche nei confronti del presidente da quando ha scoperto che alla Palin è bastato un giro in pullman tra proselitismo e vacanza familiare con intermezzi a cavallo di una Harley Davidson, per oscurare per giorni gli altri candidati. Lo stesso problema lo stanno avendo gli altri due candidati moderati, Mitt Romney e Tim Pawlenty: costretti, per catturare l’ attenzione di un elettorato frustrato e rabbioso e cavalcare l’ onda dei «Tea Party» a usare toni più radicali e a farcire i loro programmi economici di promesse di ulteriori tagli delle tasse che gli esperti (anche conservatori) considerano poco realistiche nelle attuali condizioni di bilancio degli Usa. Il dubbio di Tremonti («è diventato imprudente essere prudenti?») angoscia anche l’ ala più responsabile del fronte repubblicano. Chi cerca di vedere oltre il polverone ideologico di questa prima fase della campagna si pone una domanda: con Obama che, nonostante la solida immagine internazionale e il successo dell’ eliminazione di Bin Laden, è battibile a causa del perdurare di un’ estenuante crisi economica e occupazionale, i repubblicani riusciranno a esprimere un candidato capace di spuntarla per la sua personalità e la credibilità del suo programma? Per ora la destra può sperare solo su Mitt Romney: è in testa in tutti i sondaggi, è l’ unico che nell’ ipotetico confronto con Obama viene dato alla pari o in leggero vantaggio, lavora a pancia bassa da mesi in tutti gli Stati-chiave e la sua capacità di raccogliere finanziamenti per la campagna è pari a quella di tutti gli altri candidati messi insieme. Ma Romney ha anche diversi elementi di vulnerabilità: dal fattore religioso (è mormone) alla riforma sanitaria da lui varata quando, nel 2006, era governatore del Massachusetts, basata sugli stessi principi di quella di Obama che è stata demonizzata dalla destra. Lui ora cambia rotta, è vero, ma in questo modo perde credibilità. Gli accadde già nel 2008 quando cambiò le sue posizioni su immigrazione, aborto, matrimoni gay e porto d’ armi: troppo progressiste agli occhi della maggior parte degli elettori repubblicani. Spunterà alla fine un «uomo nuovo» capace di mettere tutti d’ accordo? Ci sarebbe Jeb Bush, ma sembra decisissimo a non scendere in campo. Fino al 2016.

Fonte: Corriere della Sera del 13 giugno 2011

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