• mercoledì , 27 Novembre 2024

“Germania: la strategia economica vincente”

Al Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani piacerebbe vedere l’Italia correre ad un tasso almeno pari alla metà del 3,5% a cui galoppa la Germania. In un’eurozona che avanza mediamente sull’1.9% , ed in cui Grecia e Spagna paiono scivolare verso nuove recessioni , l’Italia arranca attorno all’1% l’anno, ma la metà circa dei 20 maggiori istituti di analisi econometrica avvertono che il 2012 potrebbe essere ancora meno buono del 2011.
Sulla sua scrivania sono in bella vista due saggi recenti , ancora inediti ma ottenuti tramite l’attenta rete di rappresentanze all’estero (Ambasciate, ICE, Istitituti di Cultura). Il primo viene dalla lontana Università della Malaya nei pressi di Kuala Lumpur . Ne è autore Mario Arturo Ruiz Estrada, giovane e brillante economista dello sviluppo che dal Guatemala si è trasferito nel Sud Est Asiatico. Esamina – lo dice lo stesso titolo- la “Economic Desgrowth”, la decrescita economica e propone indicatori economici per individuarla (passo essenziale per fare una diagnosi e trovare una terapia). Gli indicatori si aggirano come spettri nello studio di Romani. Più positivo l’altro lavoro “The Paradox of Liberalization- Understanding Dualism and the Recovery of the German Political Economy” (Il paradosso della liberalizzazione: comprendere il dualismo e la ripresa della politica economica tedesca”) di Anke Hassel della Università di Hertie, nella Repubblica Federale (da tanti invidiata). L’analisi studia come le liberalizzazioni abbiano aiutato la transizione dell’economia tedesca negli anni dell’unificazione e nel primo decennio dell’unione monetaria europea. A differenza di altri lavori sottolinea come le liberalizzazioni siano state accompagnate da strategie per rafforzare la coesione sociale, migliorare il coordinamento tra varie categorie di lavoratori ed integrare il settore dei servizi nel manifatturiero. Ciò ha alimentato grandi industrie diventate campioni sui mercati mondiali.
Queste strategie si sono innescate su determinanti di lungo periodo: negli Anni Sessanta le hanno individuate con cura due economisti – uno americano, Charles Kindleberger, ed uno ungherese, Ferenc Janossy – che non si sono mai incontrati ed appartenevano a scuole di pensiero contrapposte (Janossy era rigorosamente marxista). La Repubblica federale ha una dotazione ricchissima di risorse umane molto competenti, molto flessibili (un accordo analogo a quelli per Pomigliano e Mirafiori è stato fatto alla Volkswagen circa 20 anni fa), propense al risparmio, contenute nei consumi (nel cui ambito preferiscono quelli culturali – grandi lettori di libri e giornali e frequentatori di sale di concerto e teatri- tali da arricchire ulteriormente.
Soprattutto nel periodo 1990-2010 è stata ristrutturata la “catena del valore” (ossia come ci si organizza per aumentare il valore di ciò che si produce) avvenuta negli ultimi 20 anni (l’accordo Volkswagen può essere preso come spartiacque): mentre Francia, Italia, Spagna ed altri scorporavano i servizi dal manifatturiero (tramite varie forme di outsourcing), in Germania le imprese accentuavano l’integrazione dei servizi nel manifatturiero. Strategia che è risultata vincente ed ha permesso sia economia di scala sia internazionalizzazione di esternalità tecnologiche, mentre sovente l’ outsourcing ha spesso portato i servizi scorporati nel labirinto poco efficiente della regolazione di competenza di enti locali.
Altro elemento importante: le medie imprese : prevale la meccanica, che genera il 46% dei ricavi complessivi del comparto; circa il 43% del fatturato proviene da quelle che operano nella fascia alta e medio-alta della tecnologia, contro il 30% in Italia e il 27% in Spagna; soprattutto hanno ampliato gradualmente le loro dimensioni, tramite fusioni ed acquisizioni, nell’ultimo quarto di secolo per fare fronte a vincoli di liquidità e difficoltà di crescita del capitale umano (due caratteristiche di aziende troppo piccole). Da noi le imprese restano lillipuziane pure a ragione di incentivi perversi (sulle dimensioni aziendali) provenienti dalla legislazione lavoristica).
Il Ministro medita: è compito unicamente della politica od anche dell’imprenditoria?

Fonte: Il Riformista del 24 giugno 2011

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