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L’anima di Faust e il paradosso della Bce

Nel giro di una settimana gli economisti tedeschi hanno tagliato di metà le previsioni di crescita della Germania e dell’area dell’euro per il 2012. Avevamo bisogno di questo rallentamento quanto di un calcio negli stinchi.
Contrariamente alla Bundesbank che finora non ha cambiato prognosi, Deutsche Bank per esempio prevede per il prossimo anno una crescita tedesca dello 0.8% anziché del 2%. In Germania il presidente della Repubblica non ha bisogno di intimare alla classe dirigente a non nascondere le verità scomode. A differenza di quanto succede in Italia, dove il rischio di recessione è considerato un tema per commensali poco educati. Gli analisti americani, per definizione poco formali, ritengono che nell’area euro diversi paesi entreranno presto in recessione, tra questi secondo Citigroup la correzione peggiore delle stime di crescita toccherebbe al nostro paese.
Cito analisti di mercato perché la loro rapidità nel cambiare scenari ben si adatta all’ipocondria con cui i mercati stessi contagiano l’economia.
Non è una questione di irrazionalità, gli economisti li chiamerebbero “equilibri multipli”: quando alcune circostanze mutano, le probabilità degli eventi mutano anch’esse e situazioni che prima erano stabili cominciano a tremare. Se la risposta di politica economica al cambio di scenario non è rapida ed efficace, è razionale dare i numeri. Ancora un volta si tratta dunque di capacità politica di capire la situazione e di reagire rapidamente.
Nei tanti convegni italiani che si apriranno con settembre varrebbe la pena di non nascondere la verità. La debolezza della crescita nell’euro area farà sì che sarà ancora più difficile aggiustare i bilanci dei Paesi più indebitati e ciò a sua volta renderà i tedeschi ancor meno entusiasti di essere chiamati al soccorso. Che si tratti di un circolo vizioso è molto probabile. L’incertezza sul debito – anche quello estero – finisce per pesare sulle decisioni di spesa e di investimento in ogni paese euro. Lo si è visto nei giorni scorsi nell’indice Ifo sul clima di fiducia tra gli esportatori tedeschi che si dichiarano gravemente intimiditi dalla situazione dell’euro area: l’incertezza produce minore crescita e finisce a sua volta per aggravare gli squilibri di bilancio.
Naturalmente il rallentamento dell’economia non dipende solo dalla crisi dell’euro area. I debiti pubblico e privato frenano l’economia Usa. La stessa Cina rallenterà nel passaggio dal ciclo degli investimenti a quello dei consumi in un contesto di bassa domanda globale. Ciò che caratterizza l’Europa è però la mancanza di strumenti di politica economica per contrastare la stagnazione.
Manca certamente in Europa una politica fiscale ottimale. In teoria la Germania potrebbe rilanciare lo stimolo fiscale e compensare l’austerità dei Paesi indebitati, ma è davvero immaginabile che Berlino deroghi al pareggio di bilancio dopo averlo inserito in Costituzione e avere indotto gli altri Paesi a fare lo stesso come condizione per salvare l’euro? La costituzionalizzazione del bilancio in pareggio è molto utile a Paesi in deficit di credibilità e con altissimo debito – come l’Italia – ma è una soluzione “stupida” per un’area economica in cui la domanda interna è debole e la politica monetaria è orientata al solo controllo dell’inflazione. Anche in questo caso si sente la mancanza di governo e di responsabilità politica a cui si sopperisce con vincoli rozzi.
In uno scenario di rallentamento globale, anche puntare solo sull’export, come sostiene Berlino, non è una gran soluzione. L’80% dell’export tedesco finisce in Europa, negli Usa o in Giappone e quindi subirà la frenata dei mercati di sbocco. Quanto all’export verso la Cina, oltre metà consiste in beni strumentali, macchinari ed è quindi molto dipendente dall’export cinese verso il mondo occidentale. L’idea che la Germania si possa salvare da sola puntano sulla competitività dei propri esportatori si rivela debole. Le 30 maggiori imprese tedesche producono all’estero il 70% del loro fatturato e una quota simile dei loro profitti. Con la frenata globale anche i profitti attesi caleranno – come dimostra il forte calo della Borsa tedesca – e con essi gli investimenti.
Istintivamente uno potrebbe consolarsi dicendo «colpa della Merkel» che non ha voluto risolvere la crisi dell’euro area nel 2010. Ma osservando le incertezze di questi giorni con cui a Roma si cerca alla cieca di seguire con i fatti le promesse sulla correzione di bilancio, chi se la sente di accusare i tedeschi di non aver avuto abbastanza fiducia? Sarà il clima depresso, ma bisogna ammetterlo: che segnale arriva a Berlino quando si fatica a dare un senso alla propria politica fiscale e intanto si invocano gli eurobonds?
Alla fine se l’economia dell’euro area si fermerà, l’unico strumento di politica economica a disposizione resterà la politica monetaria. La Bce potrebbe cioè essere costretta a cambiare rotta dopo aver alzato i tassi l’ultima volta esattamente alla vigilia della crisi italiana dell’8 luglio, e a portare agli estremi il proprio ruolo di salvatore d’ultima istanza dell’euro monetizzando il debito.
È un vero paradosso faustiano che per mantenere la disciplina sui conti pubblici dei Paesi dell’euro, Berlino debba rinunciare all’anima tedesca della Banca centrale. A Mario Draghi saranno necessarie arti diplomatiche perché questa trasformazione non venga associata alla nazionalità del prossimo presidente e alla Merkel servirà altrettanta perizia per nascondere la violazione dei Trattati. Ma per quanto capaci saranno entrambi, una cosa è certa: affinché lo scambio faustiano di anime possa essere concepito e possa funzionare, i Paesi in crisi – l’Italia certamente per prima – dovranno raddoppiare i propri sforzi di politica economica e risolvere con i fatti i gravi dubbi sulla propria credibilità.

Fonte: Sole 24 Ore del 27 agosto 2011

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