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Quel giudice a Berlino che parla di noi

La Corte costituzionale tedesca ha respinto ieri l’obiezione di illegittimità degli aiuti offerti alla Grecia dalla Germania nel contesto delle decisioni dei Consigli europei del 2010. La sentenza è stata accolta con sollievo in tutta Europa. Essa contiene osservazioni che garantiscono l’impegno tedesco a difesa dell’euro e del progetto europeo.
Ma prima di rallegrarsi sarà necessario valutare, più in profondità di quanto possibile in queste ore, le implicazioni del giudizio della Corte su tre piani: quello dei mercati, quello istituzionale e infine quello politico. Alcune osservazioni sembrano cruciali per l’Italia.
I mercati
Hanno reagito positivamente perché è stato evitato un clamoroso giudizio di incostituzionalità del salvataggio dei Paesi in crisi.
Inoltre i giudici di Karlsruhe, pur sancendo l’obbligo di coinvolgimento del Parlamento tedesco, hanno impegnato il Governo a ottenere principalmente il voto della Commissione bilancio del Bundestag, un organo di 41 parlamentari (22 della coalizione di governo), tra i quali raramente sono presenti voci di populismo radicale. Tuttavia tra i motivi con cui la sentenza legittima le decisioni del Governo di aiutare la Grecia c’è la dimensione dei prestiti e delle garanzie, tale da non pregiudicare l’esercizio autonomo delle politiche di bilancio tedesche. Nel dispositivo si fa capire chiaramente che ove la dimensione degli aiuti fosse molto più rilevante di quelli alla Grecia, il Governo finirebbe per pregiudicare il diritto del cittadino a una politica di bilancio «elemento centrale della formazione della volontà democratica». Il limite da non superare viene posto al livello in cui l’autonomia di bilancio del Parlamento venga completamente svuotata e la valutazione viene lasciata al Bundestag. La sentenza sembra dunque lasciare in dubbio che un Paese delle dimensioni del l’Italia possa essere salvato.
Le istituzioni
Nelle ultime settimane il Governo italiano ha cambiato almeno quattro volte la manovra di bilancio per renderla accettabile alle istituzioni europee e ai partner. Negli stessi giorni la Spagna ha introdotto una modifica della legge costituzionale. Ciò a cui assistiamo non è “la dittatura dei mercati”, bensì un’evoluzione nel rapporto tra sovranità nazionali e principio di interdipendenza europeo. Anche la Corte di Karlsruhe si riferisce infatti alla cosiddetta “clausola di apertura” nella Legge fondamentale per giustificare il fatto che l’integrazione europea «vincola la Germania non solo per legge ma anche nelle sue decisioni di politica finanziaria». Questo non significa però che i Parlamenti nazionali possano essere privati delle loro prerogative. I giudici ne deducono che non possano essere creati meccanismi automatici e permanenti di stabilità finanziaria che privino il Bundestag della possibilità di esprimere la propria volontà e il proprio controllo. Ciò anche in caso di un Trattato europeo che istituisca tali meccanismi, se le conseguenze non possono essere ben calcolabili. Il rischio è che gli eurobond rientrino in questa categoria. Anche sull’Esm (il fondo di stabilizzazione che sarà varato nel 2013) restano dubbi per la sua non temporaneità.
La sentenza cita inoltre la «necessità dell’approvazione del Bundestag per ogni singola disposizione». Anche in sede plenaria nel caso delle decisioni maggiori. Tutto ciò può rendere problematica la funzionalità dei fondi di stabilità finanziaria (Efsf e Esm) a cui l’euro area ha deciso di affidarsi. Se l’Efsf dovesse attendere l’autorizzazione della Commissione del Bundestag ogni volta che dovesse acquistare titoli finirebbe paralizzato. Non è poi da escludere che anche altri Paesi chiedano uguali prerogative. Per evitare l’impasse, l’euro area dovrebbe trovare la forza di trasformare i contributi nazionali all’Efsf in quote di capitale e di consentire ad esso di agire in autonomia come un Fondo monetario europeo separato dai bilanci pubblici nazionali. Un’iniziativa politica immediata in tale direzione sarebbe vitale per i Paesi sotto attacco.
La politica
La cancelliera Merkel si è riconosciuta pienamente nella sentenza di ieri. In effetti la sua strategia di intervento – fin dall’inizio dettata dal timore delle sentenze di Karlsruhe, oltre che del voto popolare – trova riscontro nell’approccio della Corte. L’estenuante cautela della cancelliera si riflette nella necessità politica e giuridica di rendere calcolabili i costi finanziari dei salvataggi. Ciò che era coerente in linea di principio si è dimostrato però pericoloso in pratica: togliendo certezze ai mercati, i costi e i rischi sono aumentati senza tregua anche per i contribuenti tedeschi. Tuttavia, man mano che la situazione peggiorava, l’aiuto ai Paesi in crisi veniva legittimato dal l’obbligo – anch’esso costituzionale – di difendere la stabilità della moneta (dei tedeschi). Nell’interessante documentazione fornita alla Corte, il Parlamento riconosce che le crisi in Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna sono causate da eventi eccezionali (quelli citati dall’articolo 122,2 del Trattato) e cioè dalla crisi finanziaria globale. Il Governo aderisce a questa visione, ma attraverso di essa interpreta i meccanismi di aiuto finanziario come “temporanei”. Come si vede il percorso politico verso una maggiore integrazione politica europea è ancora lungo e non lineare. Ma la sentenza di ieri dimostra una cosa fondamentale per il progetto europeo: la logica populista di una Germania tradita dai partner viene disconosciuta dal Parlamento e dal Governo di Berlino e la difesa dell’euro viene riaffermata come un bene pubblico anche tedesco.

Fonte: Sole 24 Ore 8 settembre 2011

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