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Euro:se la crisi spezza il sogno della moneta unica

Da più di duemila anni, la moneta è uno degli strumenti principali della sovranità nazionale, emesso da principi e governi direttamente o tramite una banca centrale e da loro usato per finanziare le proprie spese, con una forma di “tassazione senza rappresentanza politica” come la chiamavano gli irritati protagonisti della rivoluzione americana del 1776. La moneta è stata quindi usata per una fiscalità surrettizia, poco soggettaa censura politica perché non colpisce singoli gruppi di cittadini, ma la popolazione in generale, dato che tutti usano la moneta per scambiare, pagare e risparmiare.
L’euro è il primo esperimento nella storia di una moneta al cui emittente, la Banca centrale europea, per statuto è vietato l’acquisto diretto di titoli obbligazionari emessi dagli stessi stati. Questa regola è stata imposta alla Bce per evitare che gli stati virtuosi paghino, tramite la Bce, i conti pubblici in rosso di quelli che virtuosi non sono.
Se essa è rispettata, il debito pubblico di ciascuno stato deve essere gestito unicamente con mezzi finanziari reperiti dal Tesoro dello stato in questione, e cioè con mezzi fiscali e non monetari. È qui la innovazione più rivoluzionaria introdotta dalla Unione monetaria europea, capovolgendo una prassi pluricentenaria. Gli stati membri hanno volontariamente rinunciato alla sovranità monetaria. Non potrebbe esserne fornito nemmeno un ipotetico governo federale europeo, se non si cambiasse radicalmente la filosofia monetaria che ha ispirato il trattato di Maastricht. Quando, con quel trattato, si istituì l’Ume, un economista inglese, il professor Alan Walters, consulente di Margaret Thatcher, si mostrò scettico sulla durata nel tempo della futura unione, dicendo che non era possibile che persone di differenti taglie fossero vestite con abiti di una taglia sola: «one size cannot fit all».
I primi dieci anni di esperienza della Ume sembrarono dargli torto, perché il paese tradizionalmente forte, la Germania, ebbe a lungo bisogno di una politica monetaria espansiva, per far fronte all’aumento di spesa pubblica causato dalla annessione delle regioni della Germania comunista. La Bce di buon grado si prestò a fornirla. Le necessità tedesche, unite a quelle francesi, giunsero nel 2003, fino a richiedere un allentamento del rigore del patto di stabilità, l’impegno a tenere i deficit pubblici entro il 3% del Pil introdotto dagli stati membri della Ume in mancanza della integrazione fiscale che avrebbe dovuto far coppia con quella monetaria ottenuta con l’euro. In queste condizioni di moneta a buon mercato il vestito risultò comodo anche per i paesi tradizionalmente più deboli, come l’Italia, il Portogallo, la Spagna, la Grecia, l’Irlanda, il Belgio. Malgrado le nuove regole relative alla gestione dei debiti pubblici nazionali, in effetti, la politica monetaria allora richiesta dalla Germania, molto esplicitamente, tramite il proprio ministro Lafontaine, contribuì a far gonfiare in alcuni paesi della Ume una bolla immobiliare simile a quella che aveva luogo, negli stessi anni, negli Stati Uniti e a fare indebitare a basso costo paesi in forte deficit pubblico come la Grecia, l’Italia, il Belgio.
L’arrivo in Europa della tremenda crisi finanziaria americana, nel 2008-09, ha posto agli stati della Ume l’imperativo di salvare quelle banche europee, che avevano partecipato alla speculazione finanziaria americana o avevano indotto coi mutui facili bolle speculative immobiliari nei propri paesi. Il costo di questi salvataggiè ricaduto interamente sulle finanze pubbliche di ciascun paese. A questo punto, la credibilità creditizia dei governi dell’Ume ha dovuto risentire del peso dei nuovi impegni. Poiché anche i paesi più potenti e relativamente più virtuosi come la Germania e la Francia hanno debiti pubblici grandi e molto diffusi sui mercati internazionali,è cominciata una gara a tenere alta la propria credibilità finanziaria, anche cercando di abbassare quella altrui. Si è così rotta la convergenza tra i rendimenti dei titoli di stato dei vari paesi dell’euro, che durava dalla inaugurazione della moneta unica, e la tendenza alla divaricazione è peggiorata quando si sono rivelate al mondo le condizioni semi fallimentari alle quali il governo del conservatore Karamanlis aveva ridotto le finanze greche.
Riuscirà la struttura della moneta unica a resistere alle tendenze centrifughe che si sono scatenate per i motivi che ho ricordato? Probabilmente le forti resistenze espresse dal governo tedesco, cui si associa anche quello francese, a prestare aiuto alla Grecia, saranno addolcite dalla consapevolezza, specialmente del ceto industriale tedesco, della possibilità che, a voler tirare troppo la corda contro il governo greco, si possano sfasciare prima l’euro e poi addirittura il mercato unico europeo delle merci , sul quale le imprese tedesche vendono ancora gran parte della propria produzione. Tale consapevolezza è forte anche nel partito socialdemocratico e in quello dei verdi. Resta tuttavia il problema originario della moneta unica, di essere una moneta senza uno stato, per volontà espressa dei suoi soci fondatori. Solo facendo avanzare la integrazione europea, cioè creando uno stato confederale o federale e collegandolo alla nostra moneta apolide, può risolversi positivamente l’impasse nella quale il monetarismo dottrinario che animava i più influenti tra i creatori dell’euro ha cacciato l’intera Europa.

Fonte: Repubblica del 13 ottobre 2011

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