Pareva impossibile, eppure è finita bene. Una storia fatta di esitazioni e di veti, di ricatti e di maneggi sulla nomina del successore di Mario Draghi passato alla Bce.
Una storia imbarazzante davanti all’Europa e al mondo si è conclusa con la scelta di una persona degnissima. Forse solo un dispetto ha impedito di promuovere governatore il successore naturale, Fabrizio Saccomanni, persona mite e serena che non aveva mai brigato per la carica. Ma è stato nominato il secondo in linea gerarchica, Ignazio Visco, del tutto omogeneo a Saccomanni per affiatamento con la struttura della Banca d’Italia; persino con le stesse affinità elettive, dato che entrambi sono stati amici personali di Tommaso Padoa-Schioppa.
Nelle ultime ore, la vicenda si stava facendo sempre più confusa: una sgangherata farsa capace di intaccare il prestigio di persone per bene e utili al Paese. Circolava persino – senza che l’interessata l’avesse mai sollecitato – il nome della vicedirettrice generale Anna Maria Tarantola, solo perché, cattolica e milanese, sembrava più adatta a conciliare i contrastanti umori della sempre più divisa maggioranza di governo; poco contava che, pur avendo svolto benissimo il suo compito di guardiana delle banche italiane, mancasse della necessaria esperienza internazionale. Ancor più, sembrava che si aspettasse la comparsa di un misterioso nome nuovo, capace di risultare gradito a tutti, come se dovesse uscire da una casuale estrazione del Lotto.
Un capo del governo incapace di scegliere ha trascinato la vicenda per mesi; a un certo punto ipotizzando perfino di scaricare la responsabilità della scelta sul consiglio superiore della Banca d’Italia, un consesso di personalità (perlopiù industriali e accademici) che svolge nella nomina del governatore un ruolo importante, e però consultivo. Il ministro dell’Economia sosteneva in solitudine il suo candidato esterno senza mai spiegare perché, senza spiegare nemmeno che cosa avessero sbagliato gli «interni» della Banca d’Italia; si è alla fine accontentato di abbattere un candidato per accettarne un altro che ha caratteristiche molto simili.
Ignazio Visco farà restare la Banca d’Italia quella che è, una delle pochissime istituzioni italiane rispettate all’estero. Promuoverà candidati interni, già abituati a lavorare in squadra. Poteva giovare l’immissione dall’esterno di un personaggio come Lorenzo Bini Smaghi, da anni lontano dalla Banca d’Italia ma ben interno al mestiere dopo sei anni nell’esecutivo della Bce a Francoforte? Forse sì. Nel mondo è ben conosciuto e stimato. Dicono persone a conoscenza dei retroscena: Bini Smaghi ha sbagliato le sue mosse, è stato il peggior nemico di sé stesso. Ribattono altri: data la situazione in Italia, non poteva non sbagliare.
Il problema che la scelta di Ignazio Visco lascia irrisolto di fronte al governo italiano è appunto come accontentare la Francia. Con il mandato di Bini Smaghi che dura fino al 2013, ora ci saranno tra i 6 del board due italiani e nessun francese. Se nel momento in cui Draghi è stato scelto per guidare la Bce, Bini Smaghi avesse messo a disposizione del governo italiano il suo mandato, per evitargli problemi diplomatici con la Francia, sarebbe riuscito a qualificarsi come il candidato naturale alla successione di Draghi a Roma? In un Paese normale, forse sì.
Ma quando Draghi ricevette l’investitura europea, il potere di Giulio Tremonti non era stato ancora intaccato dallo scandalo Milanese, e il ministro dell’Economia era decisissimo a sostenere la candidatura di Vittorio Grilli. A quel punto, Bini Smaghi fu tentato dal gioco duro; dopodiché il governo per mesi si è dimostrato incapace di risolvere il problema che lui poneva. Il rigetto espresso dall’alta dirigenza della Banca d’Italia contro Bini Smaghi, più giovane e ambizioso, era eccessivo. Ma a giudicare inopportuno il suo comportamento – rifiutare di dimettersi dalla Bce nella speranza che la Francia si imponesse – è stato innanzitutto il Capo dello Stato. A quel punto, dopo mesi passati a temporeggiare, non si poteva scegliere Bini Smaghi solo con la motivazione di non far dispetto a Nicolas Sarkozy. Se non altro, resta questo strascico a impedire che la «spiacevole» gestione della vicenda (parole di un membro del consiglio superiore della Banca d’Italia) possa essere presto dimenticata.
Purché nulla cambi in peggio
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