Il vertice di Bruxelles si è tenuto sapendo fin dall’inizio che non c’era ancora l’accordo necessario sulle misure da prendere per fronteggiare la crisi del debito europeo. La Merkel aveva invitato tutti nei giorni scorsi a non aspettarsi decisioni risolutive dal vertice. Il motivo dell’annuncio, evidente, era quello di evitare gli effetti negativi di aspettative non realizzate che, si sa, sono quanto di peggio possa esserci. Tanto più che Sarkozy aveva detto, forse un po’ troppo enfaticamente, che siamo nei dieci giorni che possono cambiare l’Europa. Sta di fatto che tra le tante questioni sul tappeto le uniche anticipazioni riguardavano l’orientamento favorevole alla ricapitalizzazione delle banche.
Dall’inizio dell’anno gli istituti di credito dell’area dell’euro hanno visto cadere le loro quotazioni del 36%. Christine Lagarde, nuovo direttore del Fondo monetario internazionale, aveva di recente espresso il suo favore verso questa scelta, sostenendo che le banche europee si devono ricapitalizzare. Esse hanno nei loro bilanci troppi titoli pubblici e troppe attività finanziarie a elevato rischio perché quest’ultimo sia sostenibile e devono, perciò, aumentare il loro capitale per fronteggiare le situazioni critiche che si possono determinare. Ma chi deve provvedere? Non è infatti ancora chiaro quale parte delle perdite legate ai debiti greci andrà a gravare sui creditori privati e sulle banche e che dimensione avrà l’intervento pubblico e privato per ricapitalizzare le banche. È questo il problema di fondo dell’Europa.
D’altronde non tutti sono d’accordo su questa scelta. E di fatto l’incontro di Bruxelles, in attesa di raggiungere l’accordo su questa materia, si è incentrato sulla questione, che è peraltro centrale, del rapporto tra debito e sviluppo. Hanno fatto bene i leaders europei a farlo. E l’attenzione si è concentrata su Grecia e Italia anche se è tutta l’Europa che ha davanti a sé un periodo di bassa crescita, accompagnato da un aumento delle disuguaglianze e dalle crescenti difficoltà dei giovani a trovare lavoro, novità tutte e due preoccupanti e importanti nel panorama del vecchio continente.
La sostenibilità del debito, è ben noto, dipende dalle aspettative di crescita del Pil, sia perché quest’ultimo aumentando determina a parità di condizioni maggiori entrate per la finanza pubblica, sia perché riduce il peso percentuale del debito. Da qui l’insistenza del tutto comprensibile sull’esigenza del contenimento del debito. L’incertezza sulla solidità delle banche, la sostanziale stagnazione dell’economia è di fatto associata alla montagna di debito pubblico che grava sulla maggior parte delle economie europee. Nel caso del nostro Paese è importante non solo il peso del debito rispetto al Pil, pari al 120% circa, ma la sua dimensione assoluta che lo rende in principio assai più temibile di quello di un Paese come la Grecia che rappresenta soltanto il 5% del Pil complessivo europeo. Occorre però dire che la politica di controllo del deficit e l’attenzione all’equilibrio dei conti pubblici portata avanti con molta determinazione dal ministro Tremonti consente di ritenere che è stata realizzata una parte significativa dell’azione necessaria. Il richiamo che ci giunge dall’Europa è però importante perché ci ricorda che l’azione per ridurre il debito come quella per la crescita richiedono un impegno di lungo periodo, di cui manca ancora l’enunciazione.
I mercati aspettano di avere indicazioni sulla traiettoria di riduzione del debito su cui si impegnerà il governo e sulle priorità delle scelte in materia di sviluppo. Non c’è dubbio che il Mezzogiorno sia un’area importante d’intervento. Lo è anche l’investimento sul capitale umano e sui giovani in particolare. Ma anche l’Europa deve fare la sua parte perché è ancora da completare il processo di apertura dei mercati, soprattutto nei servizi, e si deve trovare la volontà di tutti per l’investimento sulle grandi reti, di trasporto, elettriche e informatiche. Sappiamo che decisioni sul debito greco, sulla ricapitalizzazione delle banche e sul ruolo del fondo salva Stati sono solo rinviate e verranno affrontate nella prossima riunione del G20. Occorre però evitare in quell’occasione di dimenticare la centralità dello sviluppo a cominciare da quello della Grecia che rischia altrimenti una penalizzazione eccessiva, anche tenuto conto dei molti demeriti che ha accumulato. Ci auguriamo che il nostro Paese possa dimostrare, programmi alla mano, la sua volontà di reagire positivamente alle sollecitazioni che ha ricevuto.
Se l’Italia è l’anello debole
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